La transizione energetica non sarà un processo indolore né per il Pianeta né per l’economia. «Esigue risorse ci mettono davanti diverse sfide», spiega l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) nel suo rapporto “Il ruolo dei minerali strategici nella transizione verso l’energia pulita”. Il riferimento è a Litio, cobalto, manganese, nickel, grafite, rame, cromo, silicio, oltre alle cosiddette terre rare, tutti elementi necessari per abbandonare i combustibili fossili, ma estremamente difficili da reperire. Per tale ragione, ha affermato il direttore generale dell’Aie, Fatih Birol, «le ambizioni climatiche dei Paesi, in primis la possibilità di raggiungere zero emissioni entro il 2050, rischiano di essere realmente compromesse».
Un aspetto non secondario su cui «le politiche energetiche degli Stati devono soffermarsi», si legge ancora nel rapporto, «è evitare che, a causa di un’offerta limitata, i prezzi di tali materie aumentino in modo incontrollato. Bisogna assicurarne l’approvvigionamento per tutti, non solo per pochi Paesi ricchi».
Nickel e zirconio: crescita record della domanda
L’Aie stima, infatti, che entro il 2040 la domanda mondiale di rame crescerà del 40 per cento rispetto ai livelli attuali. «Si tratta di un minerale indispensabile per costruire le reti di distribuzione dell’energia elettrica». Crescerà sempre del 40 per cento la richiesta di terre rare, strategiche per il settore dell’hi-tech. «Lo sviluppo dell’idrogeno verde farà aumentare, inoltre, le pretese di nickel e zirconio – elementi chiave per costruire gli elettrolizzatori usati per scindere la molecola d’acqua – e il fabbisogno di platino per le batterie a idrogeno. Aumenterà del 70-90 per cento pure la domanda di litio e cobalto».
L’economista americano Jeremy Rifkin, autore del libro Un Green Deal Globale, ha teorizzato la fine del mercato dei combustibili fossili a favore dell’energia solare e dell’eolico entro il 2028. Il monito dell’Aie, tuttavia, sembra andare in direzione opposta e sui problemi legati alle risorse minerali, paventa addirittura il rischio di tensioni politiche.
Vulcani e fondali marini: la corsa alle terre rare
La Cina, che ha annunciato senza scendere nei dettagli di volere raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, è il primo esportatore al mondo di terre rare, neodimio e disprosio, nonché di zinco e litio. E ancora, è il terzo produttore di rame a livello globale. Inoltre, spiega l’Aie che «le terre rare spesso si trovano in zone pericolose, ad esempio vicino ai vulcani e in aree difficili o impossibili da raggiungere, generalmente, a chilometri di profondità in mare aperto».

Non è un caso che la rivista scientifica internazionale Nature abbia parlato dei fondali marini come potenziali riserve di terre rare e minerali. Alcuni ricercatori giapponesi hanno scoperto un deposito di 1,2 milioni di tonnellate di terre rare a chilometri di profondità nel sud del Pacifico, arrivando a stimare che nell’area limitrofa alle coste potrebbero essercene 16 milioni. Un simile quantitativo soddisferebbe la domanda mondiale per altri 50 anni. E, proprio come il Giappone, anche l’Australia, gli Stati Uniti, il Brasile e il Sudafrica, che temono la dipendenza dalla Cina, hanno iniziato a cercare potenziali giacimenti di risorse minerali rare.
Parchi eolici a rischio
L’Aie guarda con attenzione pure allo sviluppo dei parchi eolici, per la cui costruzione serve un gran quantitativo di risorse minerali. «Se le politiche sosterranno lo sviluppo dell’energia ricavata dal vento, la domanda mondiale di terre rare aumenterà dalle tre alle sette volte, tra impianti a terra e in mare aperto, entro il 2040». Di questo passo, il neodimio, impiegato per costruire i magneti delle turbine eoliche, utili a trasformare il vento in energia, potrebbe scomparire dal mercato entro lo stesso anno.
Oggi solo nell’area Ue il 16 per cento di tutta l’energia consumata proviene dal vento. In base alle statistiche di WindEurope, in un anno sono stati installati parchi eolici capaci di produrne 14,7GW, a cui si aggiungono i 4 GW derivati da impianti situati in mare aperto, tra Regno Unito, Germania, Danimarca, Belgio, Portogallo e Spagna.
La sostenibilità passa dal recupero
Di fronte a una mole di richiesta tanto vasta, diventa imprescindibile potenziare il recupero di minerali e terre rare. L’argomento è stato oggetto di discussione al World Economic Forum di Davos: oro, terre rare, cobalto, litio, rame potrebbero essere estratti dagli apparecchi elettronici dismessi. Come scritto nel rapporto “A New Circular Vision Electronics Time For a Global Reboot”, d’altronde, a breve la produzione annuale di rifiuti elettronici toccherà le 120 milioni di tonnellate. «Una gestione impropria comporterebbe una significativa perdita di materie prime preziose e poco diffuse, tra cui le terre rare, oltre a creare danni per la salute e l’ambiente».

La transizione energetica si lega, dunque, all’economia circolare, sebbene il pianeta in materia appaia piuttosto indietro. Delle circa 50 milioni di tonnellate attualmente prodotte ogni anno, solo il 20 per cento viene riciclato. Senza considerare il recupero incontrollato degli apparecchi elettronici nei Paesi in via di sviluppo, dove grandi quantità di prodotti – 1,3 milioni di tonnellate solo dall’Ue – vi confluiscono in materia illecita.