Se c’è un dettaglio di cattivo gusto nel mug firmato Piattini Davanguardia non è la scritta «Io un po’ la Franzoni la capisco», ma il prezzo. Venticinque euro per una tazza mi sembrano decisamente troppi, soprattutto se dev’essere un regalo per la Festa della Mamma: da madre, ho una lista lunga così di opzioni che si aggirano su quella cifra e sarebbero più gradite, fra le quali mettermi in mano le banconote e direzionarmi verso un punto vendita Sephora.
Il vero cattivo gusto non sta nel black humor ma nel voler rendere ‘spiritosi’ a tutti i costi oggetti d’uso comune
Basterebbe il costo salato a smentire che la tazza con frase su Annamaria Franzoni, condannata per l’assassinio di suo figlio Samuele, sia un esempio di umorismo gratuito. Mi fa arricciare un po’ il naso, lo ammetto, ma non più di tanto, sapendo che una delle creazioni della ditta Piattini Davanguardia è un set di due tazze dedicato a Rosa e Olindo, si presume pensato per San Valentino. Se tanto mi dà tanto, per la prossima Festa del Papà possiamo aspettarci un mug con qualche frase di Taulant Malaj, il panettiere che ha assassinato la figlia e ferito gravemente la moglie. E continuerei a pensare che il vero cattivo gusto non sta tanto nelle battute a base di umorismo nero – forse l’unico umorismo veramente utile, quando serve non a ridimensionare o irridere gratuitamente l’orrore, ma a riprendere il controllo della nostra emotività – ma nel voler rendere “spiritosi” a tutti i costi oggetti di uso comune come vasellame, indumenti o accessori. Invece di impadronirci in prima persona di una delle più antiche, sane e nobili forme di resistenza umana al male e al dolore, l’ironia, la compriamo già fatta, scritta bella grande su un oggetto che si incarica di parlare per noi. Frasi maliziose sulle mutande, sparate fanfarone o sessiste fronte-retro sulle magliette, aforismi motivazionali o provocatori sulle tazze da colazione: ditemi voi se avete mai visto qualcuno di questi manufatti in un contesto umano che non fosse esteticamente squallido o psicologicamente deprimente.

Se a colazione l’unica a tentare di fare sarcasmo acido è una tazza
È questo che mi immalinconisce della tazza sul delitto di Cogne: immaginarla su una tavola di cucina, in mano a una madre stanca e stressata come quasi tutte le madri, all’ora di colazione, non la colazione degli spot in cui tutti si sorridono ammiccando mentre tuffano il plumcake nel caffellatte, e nemmeno quella delle sitcom dove le paturnie familiari diventano brillantissimi battibecchi, ma una di quelle reali in cui si grugnisce, si mugugna, ci si fa reciprocamente fretta e non di rado ci si manda affanculo. Una persona in grado di strappare un sorriso mattutino, anche amaro, a una tribù di congiunti malmostosi sarebbe una vera benedizione, e invece l’unica a tentare di fare del sarcasmo acido è una stupida tazza. Che sì, evoca l’orribile morte di un bambino, ma vivaddio, chi ricorda Bruno Vespa e il plastico della villetta di Cogne o la controversia sulle parcelle non pagate all’avvocato Taormina può ancora pensare che rispetto a quella terribile vicenda esistano vette di cinismo ancora inviolate?

Per dissacrare lo stereotipo della mamma angelo del focolare meglio la campagna di Control sui sex toys
Lasciamo quindi perdere le eterne diatribe sul cattivo gusto e su cosa si può o non si può sorridere, e pensiamo a cosa viene veramente violato nella faccenda della tazza di Piattini Davanguardia: il diritto all’oblio. Annamaria Franzoni, che ha scontato la pena per un infanticidio commesso, come hanno ipotizzato gli psicologi, in una «condizione crepuscolare», cioè non in pieno stato di coscienza, è stata scarcerata quattro anni fa. Ha avuto un altro figlio, è tornata alla sua vita e nella sua famiglia. Dovrebbe poter essere dimenticata, non tanto e non solo per la sua pace, ma per il bene dei suoi due figli, che hanno il diritto di poter crescere e trovare il loro posto nella società senza lettere scarlatte cucite addosso. Già bastano gli innumerevoli podcast di true-crime per farci ripassare tutto l’inventario degli schizzi di sangue, delle coperte imbrattate, dei mestoli e degli zoccoli. Anzi, anche a noi dovrebbe essere concesso di dimenticarcene, anche solo per far posto alle efferatezze sempre nuove e sempre uguali che ci fornisce ogni giorno la cronaca. Dovremo perfino poterci permettere di covare, ogni tanto, qualche pensiero non esattamente materno ed esorcizzarlo con una battuta, ma non a spese di una disgraziata. Se per la Festa della Mamma bisogna per forza dissacrare lo stereotipo dell’angelo del focolare, meglio i condom e i sex-toys suggeriti da Control con lo slogan «La mamma non si tocca. O sì?». Con la tazza pro-infanticida sono i figli a toccarsi. Scaramanticamente.