I tweet di Matteo Salvini sono pane per Propaganda Live. Il duo Diego Bianchi-Makkox ci campa sulle demonizzazioni e fanfaronate del leader leghista. Tuttavia c’è un suo tweet recente che sollecita una riflessione molto seria sul modo in cui attualmente si forma l’opinione pubblica. Che al tempo dei social non è più qualcosa di strutturato e compatto, bensì di mutevole e spesso instabile. Dove c’era una opinione pubblica ora ci sono tante opinioni pubbliche, spesso in contraddizione fra loro. Come argomenta la sociologa Laura Gherardi, nel reading Lezioni brevi sull’opinione pubblica, emozioni, discorsi d’odio e fake news sono sciaguratamente i nuovi influenzatori delle opinioni pubbliche e del consenso politico. Tuttavia, per tornare al leader leghista, viene da chiedersi quanto i suoi seguaci ed elettori prendano sul serio e condividano quel che scrive e promette. Ed è proprio quel tweet in cui annuncia il taglio del superbollo automobilistico che consente di avviare una riflessione illuminante. Sul peso decisivo, ma non percepito come tale, che gioca l’ideologia sulla formazione del consenso e del sostegno a un partito, anche in un ambito apparentemente molto lontano, quale è quello delle tasse. Al punto che ci sono molti casi in cui, come vedremo, le persone votano anteponendo i propri valori e principi ai propri interessi materiali. In certi casi identificandosi e votando un leader che addirittura propone leggi o provvedimenti che non li avvantaggiano o addirittura peggiorano la loro condizione economica.
Riforma fiscale: la Lega vuole l’estensione della Flat Tax al 15% e l’abolizione di tasse e balzelli, fra cui il SuperBollo.
Il PD chiede invece un aumento delle tasse sulle case degli italiani.E poi si chiedono perché perdono le elezioni…
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) May 31, 2023
Perché gli operai americani votarono Trump nel 2016?
Incredibile ma vero, come ci ricordano le elezioni Usa del 2016 quando l’elettorato bianco, perlopiù operai colpiti dalla de-industrializzazione, soprattutto dell’Ohio, votò massicciamente Donald Trump, benché ai primi posti del suo programma ci fosse l’abolizione dell’Obama Care, cioè l’assicurazione sanitaria pubblica della quale loro erano i principali beneficiari. Cosa che però non gli riuscì, a differenza delle tasse che ha diminuito non alla working class bensì a milionari e miliardari. Con l’aggravante beffarda, per i poveri lavoratori, di avere pagato lui, il presidente degli Stati Uniti, meno tasse di loro: solo 750 dollari versati al fisco nel 2016 e 2017, come rivelò uno scoop del New York Times.

Le ideologie non sono morte, come si ripete da 30 anni…
Non so se si possa parlare di ideologia auto-distruttiva. Di tafazzismo ideologico. Di razionalità elementare che viene vanificata da un istinto oscuro ma potente. È però indubbio che da almeno 30 anni si dice e ripete che le ideologie sono morte. Né di sinistra né di destra è stata ed è ancora la formula magica che ha elevato il “buon senso”, quasi sinonimo di “concretezza”, a categoria universale e buona per tutti gli usi politici. Perfino i cinque stelle, da Luigi Di Maio a Giuseppe Conte, e non solo Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ne hanno abusato. Tuttavia mi limiterò a segnalare che il “neneismo” più di 60 anni fu definito dal grande semiologo Roland Barthes come la forma più sottile e nascosta di ideologia. Ciò che le permette peraltro di funzionare al meglio. Di agire senza che gli interessati ne abbiano consapevolezza.
Intanto le accise sulla benzina sono ancora lì
Ma tornando alla proposta salviniana di eliminazione del superbollo, la domanda è: perché chi non ha un’auto di lusso o comunque di elevata cilindrata – che saranno tanti anche fra i leghisti – dovrebbe essere d’accordo con l’eliminazione di una tassa che colpisce la ricchezza? Perché l’eliminazione di un balzello che grava su relativamente pochi e teoricamente ricchi dovrebbe fare esultare i tanti che hanno utilitarie o cilindrate medie? Evidentemente perché quel provvedimento viene inteso come l’inizio della promessa e generalizzata riduzione delle tasse. C’è solo da aspettare. Dimenticando però che per esempio la famosa cancellazione delle accise sulla benzina urlata sui social sia da Salvini che da Giorgia Meloni, quando ancora era una underdog, sia rimasta nel libro dei sogni. Certo va da sé che anche chi non è ricco, allo stesso modo di chi lo è molto, voglia pagare poche o niente tasse (fanno testo i 100 miliardi di evasione fiscale annuale ricordati dall’economista Tito Boeri nell’ultima puntata di Piazza Pulita).

Meno tasse significa meno servizi, soprattutto nelle periferie
Però non c’è risposta logica, razionale all’obiezione fondamentale di chi ricorda che entrate fiscali sensibilmente ridotte peggioreranno tutti i servizi pubblici (sanità e scuola in capo). La cosa è automatica e certo danneggerà concretamente molto più l’elettorato di centrodestra che quello del centrosinistra. Se è vero che il Partito democratico è diventato il partito delle Ztl, mentre le periferie e i quartieri operai votano ora Fratelli d’Italia. Tuttavia quest’evidenza, tornando di nuovo al peso dell’ideologia, la si può ignorare o addirittura negare. In forza di un fideismo nella propria parte politica, che ha il suo luogo elettivo nel web e nei social media. E che è alimentato dal “movimento del no” e da un “pensiero negazionista” che ormai, in forme spesso grottesche e ridicole, si impone un po’ dappertutto ed è capace di negare perfino le evidenze scientifiche.
Lavoratori dipendenti a favore della flat tax: un controsenso
No Tax, No Vax, No Mask, No Tav, No Tap, No 5G sono la manifestazione più appariscente ed estrema, numerosa e rumorosa di un offuscamento del pensiero logico e razionale, che pur di ribadire proprie convinzioni e orientamenti ideologici è disposto anche a mettere da parte il proprio interesse materiale. A sacrificarlo, ma non per generosità, bensì per cieca appartenenza, che si esprime e manifesta in modo eclatante nella proliferazione, alla quale assistiamo da anni, dei “discorsi d’odio”. Solo la faziosità può infatti spiegare come ci sia una parte notevole di elettorato che mostra una crescente e diffusa incapacità di fare scelte politiche coerenti con la propria condizione economica. Arrivando perfino – per ribadire il concetto – a condividere provvedimenti o proposte di legge che confliggono con i personali e materiali interessi. Come nei casi dei lavoratori dipendenti a reddito fisso o dei giovani che votano i partiti di centrodestra che vogliono la flat tax, che va a vantaggio esclusivo dei lavoratori autonomi, e Quota 100, per mandare in pensione anticipata i sessantenni. Ma pure l’elettorato meridionale che nelle ultime Politiche e nelle recenti Amministrative ha votato per i partiti che hanno abolito il reddito di cittadinanza, che è in gran parte appannaggio del Sud Italia, è un bell’esempio di “voto ideologico”. Di voto, in questo caso, contro gli interessi della comunità d’appartenenza.

La paura ingiustificata per l’incubo “patrimoniale”
Ma, restando alle tasse, c’è una questione ancor più dirimente, a proposito di dissociazione fra status economico individuale e/o familiare e appartenenza politico-partitica, che riguarda i patrimoni. Basta infatti evocare il termine “tassa patrimoniale” per scatenare un furore che pare inspiegabile. Tassare la ricchezza risulta infatti quasi più indigesto a chi ricco non è che agli stessi milionari e miliardari. E qui la domanda che ci si deve porre è un semplice perché. Ossia perché chi non è milionario – e non lo è la stragrande maggioranza del Paese e degli elettori di centrodestra – e avrebbe tutto l’interesse a tassare ricchi e super ricchi è in gran parte e convintamente contrario a farlo?
La destra ha capito meglio il valore elettorale dell’ideologia
La risposta attiene ancora e sempre all’ideologia, che data per morta e sepolta, da quando con il crollo del Muro di Berlino si decretò anche la fine della storia, risulta oggi più che mai viva e in grande spolvero. Naturalmente nel rifiuto di tasse patrimoniali si cela anche la paura che si cominci a espropriare i ricchi per poi passare a tassare anche singole case e appartamenti di proprietà (come twitta, appunto, Salvini). Siamo ancora nei dintorni dei “comunisti che mangiano i bambini”. Tuttavia è evidente che il ritorno di fiamma delle questioni identitarie, la lotta senza quartiere per i diritti civili, l’accendersi di “guerre culturali” connotate a sinistra come cancel culture e a destra come “sostituzione etnica”, denunciano un’identica, ancorché opposta, matrice valoriale e ideale. Ideologica nella più compiuta accezione. La recente contestazione della ministra Eugenia Roccella al Salone del libro di Torino e il sì della Commissione Giustizia della Camera alla proposta di legge che dichiara l’utero in affitto reato universale ne sono la conferma che è soprattutto la destra ad avere compreso il valore elettorale dell’ideologia.

Il “pizzo di Stato” evocato dalla Meloni è in sintonia con gli italiani
Certo, il “pizzo di Stato” evocato dalla premier Meloni a Catania non scaturisce né suscita grandi idealità, evidenziando anche una caduta di stile oltre che di linguaggio non degna di un massimo rappresentante delle istituzioni. Tuttavia risulta in sintonia con il sentimento, anche se non esplicitamente dichiarato, della stragrande maggioranza degli italiani. Una sorta di magica ricomposizione di interessi diversi, che vede accomunati chi le tasse le evade e ora si trova perfino giustificato e chi invece le paga ma se potesse evaderle lo farebbe. Insomma uno strano, paradossale “idem sentire”, come diceva il senatore Umberto Bossi, che prende forma in uno spazio illusorio. Ma che come ogni ideologia agisce in concreto, sulla materialità delle azioni e dei comportamenti. Ha scritto Karl Mannheim nella fondamentale opera Utopia e ideologia, riprendendo anche il concetto marxiano di sovrastruttura: «L’ideologia non opera nel vuoto e in astratto… è “falsa coscienza” che serve a non fare vedere le disuguaglianze».

L’unico modo per sanare disuguaglianze? «Tasse, tutto il resto sono cazzate»
È solo così, per concludere, che continua a suscitare più indignazione il reddito di cittadinanza che non il 5 per cento più ricco degli italiani che detiene una quota di patrimonio (il 41,7 per cento della ricchezza netta nazionale) maggiore di quella detenuta dall’80 per cento più povero (il 31,4 per cento). E che da noi si proceda in direzione ostinata e contraria a quello che accade e si auspica negli ambiti economici ed accademici europei più accreditati. Come magnificamente sintetizzato da Rutger Bergman, storico dell’economia olandese e autore del best seller Utopia per realisti, che intervenendo nel summit di Davos ha dichiarato che c’è un solo modo per sanare disuguaglianze economiche ormai insostenibili e la concentrazione abnorme di ricchezza: «Tasse, tasse, tasse… tutto il resto sono cazzate».