Tassa sugli extraprofitti a vuoto: mancano 9 miliardi dei 10,5 previsti
Molte aziende hanno preferito non pagare e presentare ricorso convinte dell'incostituzionalità della misura. Intanto, il governo anticipa al 31 agosto il termine per mettersi in regola con l’acconto pagando una sanzione limitata.
La tassa sugli extraprofitti, che nelle intenzioni del governo avrebbe dovuto portare allo Stato 10,5 miliardi per tamponare la crisi energetica, non è stata pagata dalla maggior parte delle aziende. L’Erario ha infatti ricevuto un solo miliardo e l’esecutivo rischia ora di non trovare i fondi per varare un nuovo decreto contro il caro bollette.
Tassa sugli extraprofitti: mancano 9 miliardi
Si tratta della tassa una tantum che il Decreto Aiuti Bis aveva introdotto sugli utili extra delle aziende del settore. Un importo da pagare in due tranche, il 40% entro il 30 giugno e il restante 60% entro il 30 novembre. Moltissime realtà hanno deciso di non saldare e presentare ricorso, confidando sull’incostituzionalità della misura.
Sono due i principali argomenti di contestazione avanzati dalle imprese: quello della scelta del differenziale Iva per la valutazione degli extraprofitti – un principio sbagliato, secondo loro, perché ci sono altre variabili che possono influenzare quel numero (come l’incremento delle quote di mercato) – e il fatto che l’aumento dei prezzi derivi anche dal calo dovuto al lockdown, quando sia i consumi che i costi erano più bassi del normale.
Sono una ventina le realtà che hanno optato per ricorrere, prima davanti all’Arera e poi al Tribunale Amministrativo Regionale. Tra queste anche aziende petrolifere come Kuwait Petroleum (Q8), Ip, Esso e Engycalor, alcune delle quali avrebbero comunque pagato l’acconto. Una decisione da parte dei giudici è attesa l’8 novembre.
Le posizioni dei partiti
Il governo, nel frattempo, ha inasprito controlli e sanzioni e anticipato al 31 agosto il termine per mettersi in regola con l’acconto pagando una sanzione limitata. Se ora tutte le aziende si ravvedessero, potrebbero portare allo Stato, sanzioni incluse, oltre 3,5 miliardi. Ma è difficile si arrivi a tanto. Quanto alle posizioni dei partiti che sostengono l’esecutivo, il Movimento Cinque Stelle ha proposto di far pagare la tassa, oltre alle imprese che producono energia, anche a quelle del settore farmaceutico e assicurativo.
Il Partito Democratico, ha spiegato Antonio Misiani, si è detto favorevole ad estendere l’imposta ma evidenziato che «il problema è far pagare chi dovrebbe farlo e agire intanto in maniera strutturale con un meccanismo di prezzi amministrati e la separazione dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas». Toni diversi al centro, con Italia Viva che non condivide l’approccio, definito sovietico, di «espropriare chiunque fa profitti superiori a quelli che vengono giudicati normali». Sul comparto energetico, il partito è a favore di un’addizionale Ires temporanea per tutelare famiglie e imprese più vulnerabili. Ancora più drastica la Lega, secondo cui la tassa vada limitata al settore dell’energia per evitare il rischio che, con l’estensione ad altri comparti, si trasformi in una patrimoniale.