In queste ore gira un tweet, impietoso, che fa notare come suoni bizzarro il fatto che Tananai abbia già riempito un Forum di Assago, sold out, lui che si è appena affacciato sulle scene, mentre Mahmood – due Festival di Sanremo vinti, due partecipazioni a Eurovision, una esposizione molto importante – vada a stento a riempire il Fabrique, un terzo della capienza del palasport dell’Olimpia Milano. E dire che anche Mahmood ha successo di streaming, quindi di ascolti. Pariamo da qui.
Disco d’oro, Disco di Platino… ma è solo streaming
Esiste un curioso modo di dire: «Sei diventato ricco coi soldi del Monopoli». Indica una ricchezza fasulla, puramente di facciata, effimera. Lasciamo da parte la faccenda dei soldi: non siamo certo qui a fare i conti in tasca agli artisti. Concentriamoci su altri tipi di ori, quelli delle certificazioni: Disco d’oro, certo, e poi Disco di Platino. Mai come negli ultimi anni abbiamo visto un florilegio di certificazioni, con artisti su artisti premiati come se avessero venduto – appuntatevi questo termine – milioni di dischi, e appuntatevi anche questo. Nei fatti, è noto, negli ultimi tempi la discografia poggia per circa il suo 95 per cento sullo streaming, che a discapito di un esiguo abbonamento mensile è equiparabile alla vendita solo nel boschetto della fantasia di chi la discografia rappresenta – in Italia leggi al nome Fimi, la Federazione industria musicale italiana, guarda caso chi è poi titolata a dare quelle certificazioni.
Questo implica che non si vendano dischi, al massimo li si affitti dopo aver pagato un equo canone, e questo canone viene spalmato per tutti gli artisti che vengono ascoltati in streaming, in percentuale, portando così a una classifica di vendita che, in effetti, di venduto non ha praticamente quasi nulla. Questo, ci dice sempre la Fimi, ha ridato vitalità alla filiera musicale (la discografia continua a chiamarsi incomprensibilmente così anche in assenza di dischi, sostituiti ormai da file ascoltati in stream, cioè niente di più volatile), portando per la prima volta da tempo a dati positivi a fine anno.

Nomi pluricertificati, ma fermi al palo al riscontro del botteghino
Fatto salvo che questo periodo di presunto Bengodi riguardi prevalentemente le major, non certo gli artisti notoriamente poco pagati dalle piattaforme di streaming, succede anche che ci siano nomi pluricertificati che, al riscontro del botteghino, restino fermi al palo. È proprio il caso di Mahmood, artista che non solo ha vinto due Festival della Canzone Italiana nel giro di cinque anni, prima con Soldi e poi, in coppia con Blanco, con Brividi, ma ha anche partecipato a due edizioni di Eurovision come concorrente, e quest’anno sarà il primo italiano ospite di una finale senza essere in gara, sempre piazzandosi bene, non riuscendo però mai a mettere insieme un tour di primo livello, da top player. Per intendersi, se ci sono fenomeni sorprendenti come Ultimo o i Pinguini Tattici Nucleari, capaci di fare numeri pazzeschi su Spotify e di inanellare sold out negli stadi con una naturalezza che quasi spaventa, a fianco a giganti di lungo corso come Vasco Rossi o Jovanotti, con Tiziano Ferro e Cesare Cremonini incollati al loro sedere.

Blanco, un altro con i concerti fermi nelle prevendite
È pur vero che ci sono fenomeni, si fa per dire, capaci di fare grandi numeri con lo streaming ma di non portare spettatori ai live, sorte che sembra stia per capitare anche a Blanco, i cui concerti negli stadi sono fermi nelle prevendite – a vedere le mappe su Ticketone il verde dei posti liberi occupa ogni singolo settore – e ci sono circa 600 biglietti a data rimessi in vendita da chi lo aveva acquistato al momento del click day. Una situazione curiosa, dal momento che poi capita ci siano puri esordienti come il già citato Tananai che ha già portato a casa un Forum di Assago sold out, nel giorno del suo compleanno (l’8 maggio).

Invece i Maneskin funzionano più live che col loro repertorio su Spotify
Difficile decifrare questa situazione, che sembra attestare come ci siano alcuni artisti che funzionano solo quando non bisogna mettere mano al portafogli, cosa che un tempo succedeva a certi artisti di cassetta, magari noti perché passavano appunto da Sanremo quando Sanremo non era ancora un evento cool, e andavano poi a suonare alle sagre patronali, incapaci di portare pubblico al botteghino. Il tutto mentre ci sono artisti – penso ai Maneskin, spesso bistrattati dalla critica -, che funzionano decisamente più sul fronte live che col loro repertorio su Spotify, a eccezione della solita trita Beggin’, impegnati in un tour perenne in giro per il mondo, capace di portare 20 mila persone alla O2 Arena di Londra, non esattamente la piazza più facile da affrontare, specie per artisti italiani.

Gli stadi continuano a essere riempiti da Vasco o dai rinati Pooh
A parte le solite date osannanti di Milano, dove sembra che davvero chiunque riesca a portare spettatori, specie se si parla di spazi al chiuso (lo stadio semivuoto di Alessandra Amoroso, ieri, e di Biagio Antonacci, anni fa, gridano ancora vendetta), da noi c’è un alternarsi di date che funzionano a fianco di fiaschi, spesso poi venduti per successi in virtù di biglietti regalati a mani basse, di accrediti che superano abbondantemente i paganti, di sconti e doni fatti a sponsor locali. Il tutto a vantaggio, si fa per dire, di artisti che a casa hanno Dischi d’Oro e di Platino a non finire, molti più di quanti oggi non ne possano anche volendo raggiungere artisti quali Vasco o i rinati Pooh, tanto per parlare di qualcuno che sta per riempire nuovamente stadi. Gente premiata da chi li segue davvero, e che spende soldi, ma assai meno ascoltata di tanti Carneadi che però spaccano dentro gli smartphone dei ragazzini.