Il cinguettio dei talebani
Si presentano come «attivisti per la pace» o «giornalisti freelance», scrivono in due lingue e usano modi ed espressioni tipiche dei reporter internazionali. Chi sono i mujaheddin di Twitter che incarnano il nuovo volto istituzionale dei miliziani.
Twittano compulsivamente, sia in pashtu che in inglese, e utilizzano espressioni istituzionali di reporter e organizzazioni internazionali («Breaking news», «Confirmed», «Source tells…»). Condividono video in esclusiva, fornendo materiale di prima mano poi ripreso dalle testate di tutto il mondo. Si definiscono a volte «giornalisti freelance», altre «attivisti per la pace». Sono una fonte tendenzialmente affidabile di ciò che avviene in Afghanistan, almeno dal punto di vista della cronaca, meno da quello dell’interpretazione dei fatti. Specificarlo non significa avere poca fiducia, e il perché è presto detto: sono talebani.
Nei giorni in cui l’Afghanistan, dopo 20 anni di occupazione militare da parte delle truppe occidentali a guida americana, è tornato in mano agli “Studenti di Dio”, sui social – soprattutto su Twitter – sono comparsi tantissimi profili gestiti dai miliziani jihadisti. Seguirli, o anche solo leggerne i messaggi, se da un lato può essere importante per comprendere gli sviluppi sul campo (il 15 agosto, giorno del ritorno dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, i primi ad avere le immagini dei combattenti nel palazzo governativo di Kabul sono stati loro), dall’altro è abbastanza straniante per il contrasto tra ciò che scrivono, ciò che mostrano e quello che sono.
Il volto social “istituzionale” dei talebani
E non parliamo solamente di uno dei profili afghani più seguiti, quello del portavoce taliban Zabihullah Mujahid, oltre 283 mila follower su Twitter. Lì c’è davvero poco spazio all’interpretazione, perché è tutto nella bio: «Account Twitter ufficiale del portavoce dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan». Non ci sarà scritto direttamente talebano, perché usare qualche giro di parole può essere utile per pulirsi l’immagine, ma la sostanza non cambia. E questo è esattamente ciò che hanno fatto altri miliziani jihadisti, nascosti dietro parole innocue ma impegnati, 24 ore al giorno, nel diffondere la propaganda taliban sui social.
Un esempio è il profilo di Muhammad Jalal, a prima vista un cittadino particolarmente impegnato in politica e volenteroso di cambiare il proprio Paese. La descrizione che dà di se stesso è la più pura possibile: «Afghano normale, attivista per la pace. Un Afghanistan pacifico, prosperoso e indipendente è il sogno di ogni afghano», con tanto di colomba, simbolo per eccellenza della pace. Basta guardare un paio di tweet, tra quelli scritti in pashtu e gli altri in inglese, per capire che le cose non stanno esattamente così: «I talebani vi proteggeranno», scrive in risposta a un tweet preoccupato della Croce rossa internazionale. «Oggi è il giorno della vittoria di Kabul», ha scritto nelle prime ore del 15 agosto, e poco dopo ha pubblicato un video dei miliziani nella capitale scrivendo «I talebani stanno mettendo in sicurezza la città e stanno istituendo dei checkpoint». In risposta alle preoccupazioni internazionali per il destino di donne e ragazze afghane, di fatto già sparite dalle strade del Paese, oggi ha pubblicato la foto di alcune bambine mentre andavano a scuola, non accompagnate da nessuno. Un’immagine ripresa anche da altri profili legati ai mujaheddin.
https://twitter.com/khalidzadran15/status/1427163533549113351
La frequenza dei suoi tweet è impressionante, quasi uno ogni due minuti, e seguirlo significa entrare in un tunnel di propaganda jihadista francamente evitabile. Serve però a capire come i taliban si stiano presentando al mondo. Hanno ripreso il potere in un Paese che avevano già governato per cinque anni, dal 1996 al 2001, ma i modi in cui l’hanno fatto sono molto diversi da allora. Quando venticinque anni fa i mujaheddin deposero Mohammad Najibullah, ultimo Presidente della Repubblica dell’Afghanistan, lo castrarono e lo impiccarlo a un palo della luce con delle banconote americane in bocca. Adesso, anche grazie alla resa incondizionata del governo (il Presidente Ashraf Ghani è fuggito all’estero) queste scene non si sono viste, e il tutto è avvenuto in maniera “pacifica”. Virgolette d’obbligo, visto che i cittadini costretti a lasciare le proprie case e a scappare in Iran o negli altri Paesi confinanti sono stati migliaia, e tantissime le vittime – in tutto il Paese – di questa inarrestabile marcia talebana.
La propaganda dei talebani corre sui social
Come Jalal, altri profili simili fanno lo stesso gioco. Si spacciano per amanti della democrazia e della pace, ma poi contribuiscono a diffondere materiale jihadista. E non solo relativo alla riconquista del Paese, ma anche ai primi provvedimenti da governanti del nuovo Emirato Islamico. Se in giro avete visto le immagini di presunti ladri arrestati e puniti, magari col volto dipinto di nero – che simboleggia la vergogna – e in processione per le città in modo che tutti possano vederli, è probabile che a diffonderle sia stato un account del genere. Altri, invece, hanno condiviso video di «rapinatori» catturati e picchiati per «ristabilire l’ordine» e mostrare anche il volto muscolare e violento dei talebani, ma finalizzato solamente alla messa in sicurezza del popolo contro i criminali. Stesso discorso se vi sono capitate le immagini in cui prigionieri politici venivano liberati dalle carceri prese d’assalto dai miliziani, spesso accompagnate da messaggi di giubilo per aver terminato le sofferenze delle vittime degli invasori occidentali.
Attention everyone: All Afghans are the common citizens of Afghanistan bonded together by religion, faith and nationalism. Please don't flee the country. Afghanistan needs everyone. This country is the home of all Afghans. Everyone will be protected. @KarzaiH pic.twitter.com/XkjgtmaGxk
— Muhammad Jalal (@MJalal0093) August 16, 2021
In queste ore, account simili stanno continuando a diffondere senza soluzione di continuità materiale di questo tipo. Le scene dell’aeroporto di Kabul, con centinaia di persone che corrono sulla pista insieme a un mezzo di evacuazione americano, sono state usate per chiedere alla popolazione di non lasciare la propria nazione: «L’Afghanistan ha bisogno di tutti e questo Paese è la casa di tutti gli afghani. Tutti saranno protetti». Le immagini invece raccontano di cittadini impauriti, pronte a qualsiasi cosa pur di non finire nuovamente in mano ai talebani: in altri video si vedono, purtroppo, le persone aggrappate all’esterno dell’aereo in volo precipitare nel vuoto. Altri utenti, come il «giornalista freelance, attivista per la pace e convinto credente nella libertà» Khalid Zadran (46 mila follower su Twitter) ha addirittura rivolto un appello a tutti i giornalisti o operatori dei media che vivono in Afghanistan, affinché informino che il Paese è sicuro e che i residenti di Kabul non hanno niente da temere. Zadran ha – come molti altri – anche condiviso dei numeri verdi, sempre legati alle milizie, da contattare in caso di problemi.
Il nuovo governo afghano si forma sui social
Se gli osservatori internazionali ritengono che il nuovo leader dell’Emirato sarà Abdul Ghani Baradar, mujahedin di lungo corso impegnato già nella resistenza contro l’Armata rossa ai tempi dell’occupazione sovietica (1979-1989), sui social è già possibile assistere alla costruzione del nuovo esecutivo. Baradar ha infatti già incontrato Ismail Haniyeh, leader di Hamas («Speriamo che un giorno la Palestina possa essere liberata come l’Afghanistan»), mentre un altro rappresentante taliban ha incontrato il Ministro della salute, Waheed Majroo, «assicurando che il ministero tornerà a lavorare come di consueto da domani».
د فلسطين د ازادۍ په هيله…!
ملابرادر اخند د حماس له مشر اسماعیل سره کتلي. pic.twitter.com/nKWXNg2x70
— Muhammad Jalal (@MJalal0093) August 16, 2021
Modi “istituzionali” in contrasto con le immagini classiche che abbiamo delle milizie jihadiste, ma probabilmente necessari per non avere problemi con i vicini. Porsi come una milizia violenta e senza regole li priverebbe del fondamentale appoggio di Russia e Cina, non a caso tra le poche nazioni (con Pakistan e Turchia) a non chiudere l’ambasciata di Kabul. Con Pechino, poi, i dialoghi vanno avanti da mesi, ma per tenerli vivi è necessario che l’Afghanistan sia stabile e relativamente in pace. Anche l’Iran, avversario dei talebani per questioni religiose, ha preso posizione sulla vittoria dei talebani: «La sconfitta dell’America in Afghanistan è l’occasione per una pace sostenibile. Siamo impegnati nel mantenere relazioni di vicinato e vediamo in esse un’occasione di stabilità», ha detto il neo premier iraniano Ebrahim Raisi. Il futuro dell’Afghanistan ha nuovamente barba lunga e turbante, ma i modi sono quelli di una qualsiasi democrazia liberale. Solamente a parole.