Un funzionario sconosciuto è stato nominato dai talebani il governatore ad interim della Banca Centrale dell’Afghanistan. Si tratta di Mohammed Idris, a capo della commissione economica dei miliziani, che «affronterà le incombenti questioni bancarie e i problemi della gente», come ha scritto su Twitter il portavoce dei taliban Zabihullah Mujahid. Di Idris non si sa nulla, come riporta Bloomberg, né sul suo background formativo né sulle qualifiche professionali che lo porteranno a gestire le politiche monetarie, valutarie e bancarie del Paese.
Negli ultimi 20 anni, i talebani non hanno mai smesso di agire nell’ombra, anche con la loro “commissione economica”. Secondo il Consiglio di sicurezza dell’Onu, infatti, le attività delle milizie comprendevano il “pizzo” da imprese e agricoltori per finanziare l’insurrezione militare. Gestire la Banca Centrale, però, è molto diverso, soprattutto in un periodo così complicato: i bancomat sono a corto di contanti, i prezzi dei beni di prima necessità in aumento (per farina e olio adesso si paga circa il 35 per cento in più rispetto a prima) e, soprattutto, circa 7 miliardi di dollari del governo afghano congelati dagli Usa per impedire ai talebani di metterci mano. Il Fondo Monetario Internazionale ha anche bloccato la distribuzione di 460 milioni di dollari destinati al Paese nell’ambito dell’emergenza Covid. In contrasto con le caotiche scene dell’aeroporto di Kabul, con migliaia di persone che provano a salire sugli aerei diretti in Occidente, le strade della capitale sono praticamente vuote e negozi, banche e farmacie sono chiuse. Ma, sempre secondo Mujahid, i talebani sono a lavoro con le banche per poterle rendere nuovamente operative.
I talebani e le future nomine per ricostruire l’Afghanistan
La nomina di Idris si è resa necessaria perché Ajmal Ahmady, ex governatore della Banca Centrale, è fuggito all’estero insieme ad altri funzionari dell’esecutivo, tra cui il Presidente Ashraf Ghani. Si tratta di fatto della prima posizione di rilievo coperta dai talebani, impegnati in questi giorni non solo a «ristabilire l’ordine nelle strade», come ha affermato ancora Mujahid, ma anche nel provare a riscrivere l’architettura istituzionale del Paese che hanno riconquistato.
There also remains a great deal of anger across the political spectrum – in particular towards Ghani, Mohib, and Fazly
For their actions over past months, but especially for their actions on that last day https://t.co/KUcVSRjMdF
— Ajmal Ahmady (@aahmady) August 21, 2021
Sui leader talebani, in realtà, si sa poco. C’è una catena di comando, certo, ma le personalità di rilievo sono tante e accontentare tutti sarà complicato. Soprattutto, bisognerà vedere quanto “inclusivo” sarà il nuovo governo e quali saranno le aperture ai non talebani. Incassato il primo sostegno della tribù degli Ahmadzai, siglato grazie al giuramento di fedeltà fatto ai taliban dal fratello dell’ex Presidente, Hashmat Ghani, il nuovo governo dovrà probabilmente approvare una nuova Costituzione. Punto di partenza la Sharia, la legge islamica che si presta a interpretazioni più o meno rigide, e in base alla quale anche le donne dovrebbero partecipare alla vita pubblica. Parola di talebano, che vale quello che vale, e infatti da ciò che filtra nulla fa pensare che sarà effettivamente così.
Nel frattempo, all’indomani della presa di Kabul, le milizie hanno già incontrato il ministro della Salute, promettendogli che potrà continuare a lavorare con serenità (ma non si sa ancora per quanto). Nei prossimi giorni, poi, i talebani incontreranno governatori e funzionari di 20 delle 34 province in cui è diviso l’Afghanistan, secondo quanto riportato dalla Reuters. L’agenzia ha citato una fonte anonima dell’Emirato, secondo la quale gli incontri serviranno per «cercare la cooperazione» di chi è stato impegnato nei governi locali: «Non forziamo nessuno a unirsi a noi o dimostrare la loro fedeltà al gruppo. Chiunque può lasciare il Paese, se vuole».
I leader talebani più influenti
Per quanto all’interno dello stesso gruppo le divisioni ci siano, tra chi è più moderato e chi è più radicale, alcuni leader più di spicco ci sono e sono noti. Hibatullah Akhundzada, per esempio, è considerato la guida spirituale: ha circa 60 anni, ma l’età esatta è sconosciuta, ed è il comandante supremo del gruppo dal 2016, dopo la morte di Akhtar Mohammad Mansour in un bombardamento americano. È il terzo Emiro dopo il mullah Omar, fondatore dei taliban, e lo stesso Mansour. Tra i principali mujaheddin antisovietici, negli Anni 90 ha assunto importanti ruoli religiosi, diventando capo dei tribunali islamici. Da anni non si fa vedere in pubblico, ed è considerato una figura di compromesso tra le diverse anime del gruppo.
Il capo politico delle milizie è però Abdul Ghani Baradar, ex braccio destro del mullah Omar al cui fianco ha combattuto contro l’Urss. La sua influenza è da sempre stata fondamentale nell’assetto degli studenti coranici, ed è stato tra i personaggi maggiormente nel mirino degli americani dal momento dell’invasione del 2001. Arrestato in Pakistan nel 2010, è rimasto in carcere fino al 2019, liberato proprio su pressione degli Usa in vista dei negoziati di pace di Doha. Nel 2020 è stato il primo leader talebano a parlare direttamente con un Presidente americano, Donald Trump. Al suo ritorno nella sua città natale di Kandahar è stato accolto con grandi feste. Potrebbe essere lui la nuova guida del prossimo esecutivo afghano.
C’è poi una forte componente militare, e non potrebbe essere altrimenti. La guida è affidata a Mohammed Yaqoob. Trentenne, è arrivato ai vertici della gerarchia in fretta soprattutto perché figlio del mullah Omar. Se i miliziani dovessero decidere di attaccare il Panshir, unica roccaforte della resistenza, si troverebbe di fronte un altro “figlio d’arte”, Ahmed Massud, primogenito del Leone che rimandò indietro prima i sovietici poi i talebani. Di lui non ci sono foto, ma si dice sia meno dogmatico del mullah Omar, come scrive il New York Times. Impossibile non citare Sirajuddin Haqqani, leader della “Rete” di mujaheddin fondata da suo padre, da anni alleati con i talebani. Da lui passano i rapporti tra il gruppo e Al Qaeda.
Tra gli altri fedelissimi di Akhundzaza non si può non citare Abdul Hakeem, capo della squadra dei negoziatori talebani a Doha. Si dice avesse una scuola religiosa islamica (madrasa) in Pakistan, ma Islamabad ne ha negato l’esistenza. Soprattutto, però, è a capo del Consiglio di studiosi religiosi dei talebani, un importantissimo organo consultivo responsabile dell’interpretazione della Sharia.