Talequali

Nicolò Delvecchio
18/08/2021

Gli Studenti di Dio ora cercano legittimazione. Tra le linee guida del nuovo governo l'amnistia per chi ha collaborato con gli occidentali, lo stop al business della droga e maggiori diritti per le donne. Solo annunci di facciata o un tentativo di 'normalizzazione'? I possibili scenari.

Talequali

Kabul è caduta senza combattere, il presidente Ashraf Ghani è scappato all’estero e i talebani hanno proclamato la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, assumendo il controllo in tutto il Paese. O meglio, quasi tutto, visto che la regione del Panshir resiste ancora. E adesso, quali saranno i prossimi step del nuovo esecutivo afghano? Le donne saranno di nuovo costrette a isolarsi in casa, private di qualsiasi diritto, come successe tra il 1996 e il 2001? Quale sarà il destino di chi, negli ultimi 20 anni, ha collaborato con gli occidentali? E l’Occidente è pronto ad assorbire una eventuale nuova ondata di profughi afghani?

Le tre opzioni dei talebani secondo il New York Times

Il New York Times, in una delle ultime edizioni della newsletter The Interpreter, si è chiesto quali possano essere le prossime mosse dei talebani per consolidare il potere. Per la testata americana sono tre le strade possibili, date dalle esperienze delle precedenti insurrezioni che hanno rovesciato un governo.

Il primo scenario: repressioni e purghe

La prima opzione: repressione e purghe. Violente e profonde, come quelle ordinate da Mao Zedong nel 1949 dopo la nascita della Repubblica popolare cinese, o dai Khmer rossi cambogiani di Pol Pot nel 1975 (in quattro anni furono uccisi tra i 2 e i 3 milioni di cittadini in quello passato alla storia come genocidio cambogiano): in entrambi i casi a morire non furono solo gli ex collaboratori del governo precedente, ma tutti quelli appartenenti alle classi sociali potenzialmente “pericolose” per la sicurezza del nuovo esecutivo. Oppure i talebani potrebbero “limitarsi” a punire chi ha collaborato con gli occidentali in questi anni, come fatto dall’esercito del Vietnam del sud con i complici degli americani. È quello che temono migliaia di afghani, nonostante i talebani abbiano promesso l’amnistia per tutti.

Il secondo scenario: emigrazione di massa

Secondo scenario: emigrazione di massa e cambiamento sociale. Lo abbiamo visto con le immagini dell’aeroporto di Kabul preso d’assalto. Sono centinaia di migliaia gli afghani che, pur di non tornare sotto il controllo dei talebani, sono pronti a morire nel tentativo di lasciare il Paese. Stessa cosa è successa anche nel Vietnam e a Cuba dopo la vittoria dei rivoluzionari di Fidel Castro. A partire sono soprattutto gli appartenenti alla classe media, considerati complici dei governanti precedenti, e le minoranze etniche. Migrazioni di questo tipo, che spesso coinvolgono i giovani e i più istruiti, possono paralizzare la capacità del Paese di ricostruirsi su basi solide: in Afghanistan questo è già successo, perché dall’inizio dell’anno in circa 400 mila hanno lasciato le proprie case. Agenzie per rifugiati e Paesi vicini si stanno preparando a un esodo che potrebbe coinvolgere milioni di persone. Questo significa campi profughi, emergenze umanitarie e ancora più violenze.

Terzo scenario: la legittimazione del potere

Terzo scenario: i talebani faranno in modo da acquistare sempre più legittimità per il proprio potere, sia dentro che fuori l’Afghanistan. Il che significa convincere cittadini e gruppi (etnici, sociali, religiosi) che chi comanda ha le basi per farlo, ma anche farsi riconoscere dalla comunità internazionale. Quest’ultimo aspetto, ad esempio, è mancato alla prima esperienza dell’Emirato Islamico, riconosciuto solamente da Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Alla Cina di Mao ci vollero 22 anni per ottenere riconoscimento internazionale. I talebani rigettano il loro essere accomunati solamente ai terroristi, ma sanno che senza legittimazione saranno sempre dipendenti in qualche modo dall’estero. Per ottenerla, devono dar prova di essere più moderati del passato e di riuscire a tenere il Paese sotto controllo. Condizione tra l’altro necessaria affinché due potenze come Cina e Russia possano avviare e proseguire dei rapporti con Kabul.

Al momento, le ultime due strade sembrano quelle più probabili. I taliban hanno dichiarato di non cercare vendetta nei confronti di chi ha lavorato per il governo e per l’Occidente negli ultimi 20 anni, ma si trovano comunque di fronte a un Paese da cui centinaia di migliaia di persone vogliono scappare. Potrebbero blindare i confini per cercare di limitare le uscite, certo, ma a livello di malcontento sociale non cambierebbe molto, anzi. Quanto al terzo punto, come abbiamo visto in questi giorni, i nuovi governanti hanno “pulito” la loro immagine adottando toni più istituzionali e aprendosi all’estero (Cina, già ai tempi delle trattative di Doha, e Hamas). Sarà lunga, ma un governo talebano “moderato” potrebbe acquistare più legittimità internazionale di quanta non ne avesse in passato. In questa ottica possono essere le nuove linee guida degli Studenti di dio, a partire dal fatto che l’Afghanistan – a loro dire – non sarà più un centro per la coltivazione del papavero da oppio e del business della droga. Il portavoce dei talebani ha anzi aggiunto che al nuovo governo servirà il sostegno internazionale per promuovere coltivazioni alternative. Lo stesso vale per il terrorismo: il portavoce ha assicurato che «il suolo afghano non sarà utilizzato contro nessuno».

I talebani e la questione delle donne

Nel loro secondo giorno da governanti dell’Emirato afghano, i talebani si sono concessi a una rara conferenza stampa dal centro media di Kabul. A parlare è stato il portavoce Zabiullah Mujahid che ha spiegato come le trattative per la formazione del nuovo governo andranno avanti nei prossimi giorni e che tutti sono invitati a parteciparvi. «Anche le donne», ha sottolineato. Nella precedente esperienza di governo i talebani instaurarono un rigidissimo regime basato sulla lettura più radicale e conservatrice del Corano, escludendo le donne dalla vita pubblica del Paese e togliendo loro ogni diritto. Anche per questo, con l’arrivo delle milizie a Kabul, adolescenti e donne sono praticamente sparite dalle strade.

Questo cambierà? Forse. Dopo aver invitato le donne a partecipare al nuovo governo, Zabiullah ha detto che i loro diritti verranno rispettati «nel quadro della sharia, e potranno avere un ruolo nell’istruzione e nella sanità». Cioè potranno studiare e avere cure mediche: lo studio era loro vietato nel precedente regime, l’assistenza molto limitata, perché non potevano farsi toccare da uomini estranei. E potranno continuare a lavorare nei media? «Lo decideranno il nuovo governo e le nuove leggi» (primo passo indietro). L’Afghanistan post-americano ripiomberà nuovamente nella sharia, come prevedibile, ma potrebbe trattarsi di un’interpretazione meno radicale rispetto al passato. Le donne non saranno più obbligate a indossare il burqa, ma dovranno portare l’hijab, il velo che copre i capelli e lascia scoperto il volto. Resta da capire, nella pratica, come sarà applicata la legge islamica e se, effettivamente, potranno godere di più libertà di prima (pensare a una totale equiparazione con gli uomini non è realistico). Anche dal punto di vista della legittimità internazionale, presentarsi come un regime oscurantista non gioverebbe ai talebani, che potrebbero quindi concedere qualche apertura indolore (come quella concessa anche nei confronti dei media, «che potranno criticarci a patto di non mettere in pericolo la sharia e la sicurezza dello Stato») per rendersi più presentabili all’estero.

I talebani, i profughi e l’Europa

Come accennato, quello dei profughi potrebbe essere un grande problema in futuro, anche per i Paesi europei. Che, è il caso di sottolinearlo, hanno subito cominciato ad alzare le mani: se è vero che Germania e Paesi Bassi hanno sospeso (temporaneamente) i rimpatri degli afghani la cui domanda di protezione è stata respinta, è altrettanto vero che in molti hanno già messo le mani avanti. Per il presidente francese Emmanuel Macron i Paesi Ue dovrebbero «proteggersi da un ingente flusso migratorio irregolare che metterebbe a rischio la vita di quelli che ne faranno parte e alimenterebbe traffici di ogni tipo», mentre per il ministro dell’immigrazione greco Notis Mitarachi «l’Unione europea non è pronta e non ha i mezzi per gestire un’altra emergenza migratoria».

Tra il 2008 e il 2020 sono arrivati in Europa oltre 600 mila profughi dall’Afghanistan, e per quasi la metà di questi la domanda di asilo è stata rifiutata in primo grado. Tutti rimpatriati? No, anzi. Solamente il 14 per cento di loro è tornato in Afghanistan, il resto è presente ancora sul territorio europeo senza permesso di soggiorno, come ha ricordato su Twitter Matteo Villa dell’Ispi. In tutto questo, Villa ha anche evidenziato come l’Italia abbia respinto pochissime domande provenienti da richiedenti asilo afghani, solamente 705 contro le oltre 12 mila approvate in cinque anni (2015-20) con appena 130 rimpatri.

Ma è possibile pensare che il nuovo scossone politico afghano possa produrre nuove, importanti ondate migratorie in Europa? Non nel breve periodo. I cittadini che scappano da Kabul e dintorni si rifugiano soprattutto nei Paesi confinanti come l’Iran (meta preferita per chi è fuggito da Herat, nei pressi del confine) e il Pakistan, che ospita già milioni di rifugiati afghani. Il viaggio verso l’Europa è lungo e complicato, e passa attraverso alcuni checkpoint molto duri come quello tra Grecia e Turchia, costantemente pattugliato dai rispettivi eserciti. Difficile quindi pensare che i numeri possano essere particolarmente ampi: prima che arrivino nella Ue le persone che hanno deciso di scappare dall’Afghanistan adesso, senza godere delle evacuazioni degli eserciti occidentali, potrebbero volerci anni.