Una lunga storia quella tra la politica italiana e il desiderio di «tagliare il cuneo fiscale», espressione che cela il livello di pressione fiscale sulla busta paga dei lavoratori. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è spinta addirittura a definirlo il più «importante» intervento sulla tassazione del lavoro: sul tavolo ha messo 4 miliardi di euro per garantire uno stipendio più alto ai lavoratori con reddito fino a 35 mila euro. Ma sono state parole a favore di propaganda: in primis la misura è a tempo – sarà fino alla fine del 2023 – e soprattutto sono 15 anni che i vari governi cercano di mettere mano al costo del lavoro. Ormai senza distinzione di colore politico, come conferma la decisione dell’esecutivo presieduto da Meloni, abile sicuramente a cancellare il marchio di sinistra alla misura.
- Dal cuneo (fiscale) a Cuneo: la celebre scena di Totò sul servizio militare.
Prodi e la riduzione di 5 punti percentuali nel 2007
Il “padre” della dolce ossessione per il cuneo fiscale è Romano Prodi, all’epoca presidente del Consiglio sostenuto da un’ampia coalizione di centrosinistra. Nel 2007 la riduzione fu in totale di 5 punti percentuali per una spesa complessiva di 7,5 miliardi di euro. Ci fu una ripartizione del 60 per cento sulle imprese e del 40 per cento sul lavoro. Un modo per aiutare gli imprenditori e i dipendenti. Nonostante il cospicuo investimento, l’impatto non fu così radicale. Prodi ha sempre ricordato il suo marchio su quel provvedimento, sottolineando come prima non fosse così ben voluto. «Quando il mio governo adottò la misura del cuneo fiscale, il giorno dopo ci hanno sputato sopra», ha dichiarato tempo dopo. Anche perché la locuzione appariva come qualcosa di astratto, roba da economisti e poco chiaro agli elettori.

Il bonus 80 euro che fece fare il boom a Renzi
L’ex premier non ha avuto remore a descriverla come «un’esperienza scioccante», proprio mentre si stava preparando un altro imponente intervento sulla busta paga, seppure sotto un’altra forma: il ben noto “bonus Renzi”, gli 80 euro aggiuntivi in busta paga, che nei fatti era uno sgravio previsto per «mettere un po’ di soldi nelle tasche degli italiani», citando uno slogan molto caro a chi vuole ridurre il cuneo fiscale. La platea interessata era composta da contribuenti con un reddito inferiore ai 25 mila euro. Il costo per le casse statali era stimato in 9-10 miliardi di euro. È stata la riforma più popolare dell’allora Rottamatore, che ottenne un’ottima spinta per la vittoria alle Europee del 2014, quelle del Partito democratico al 40 per cento, soglia mai raggiunta né prima né dopo.

Il Conte II ha allargato il beneficio, portandolo a 100 euro
A differenza di Prodi, tuttavia, l’intervento renziano fu più diretto proprio per rimarcare che si trattava di un’iniziativa governativa. E la misura non fu certo accolta con scetticismo. Nessuno ci «ha sputato sopra», per riprendere le parole di Prodi. In pochi sollevarono critiche, con gli avversari politici che si limitarono a parlare di una «mancetta». Che comunque nessuno ha mai più eliminato. Anzi. Il governo giallorosso, il Conte II, ha compiuto un’operazione di allargamento del beneficio, eliminando la dicitura di bonus Renzi. In particolare il taglio del cuneo fiscale ha portato una ventina di euro in più in busta paga, passando da 80 a 100 euro, e ha allargato la platea dei beneficiari, raggiungendo la soglia di reddito di 35 mila euro all’anno. La propaganda dell’epoca di quei giorni far passare il messaggio che l’incremento in busta paga era di 100 euro, mettendo insieme quello già previsto con il boost fornito dall’intervento studiato dall’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Ma non erano 100 euro in più: solo 20.

Draghi e i 7 miliardi per ridurre l’Irpef per i lavoratori
E se fino al 2020 il taglio del cuneo fiscale sembrava appannaggio del centrosinistra, il “tecnico” Mario Draghi, da Palazzo Chigi, ha messo mano alla questione, provvedendo a effettuare un ulteriore riduzione del costo del lavoro, con la spesa complessiva di 2 miliardi di euro per diminuire i contributi previdenziali per i redditi fino a 35 mila euro annui. Senza dimenticare che l’ex presidente della Banca centrale europea, nel ruolo di premier, ha messo sul tavolo 7 miliardi di euro con lo scopo di ridurre l’Irpef per i lavoratori. Meloni, dunque, ha colto la palla al balzo, sfilando definitivamente la misura alla sinistra. Così, seppure forzando con la propaganda, ha provveduto a tagliare un altro po’ il cuneo.
