Non ci sono più i cristalli di una volta. O meglio: i cristalli ci sono, chi non c‘è più sono gli Swarovski. La storica azienda austriaca dal 1 gennaio 2022 sarà guidata ufficialmente, ed è la prima volta dal 1895, da un manager non appartenente alla famiglia. Una rivoluzione dovuta ai dissidi interni nella dinastia tirolese e alla necessità di tenere dritta la barra di una nave, che negli ultimi tempi ha rischiato di ribaltarsi nella tempesta pandemica. Con l’addio ufficiale un paio di settimane fa di Nadja Swarovski se ne è andata dal board esecutivo l’ultima rampolla della famiglia, dopo che lo scorso settembre era già stata avviata la transizione con l’uscita di Robert Buchbauer che dal 2020 aveva sostituito temporaneamente Markus Langes Swarovski. Ceo ad interim era stato nominato l’italiano Michele Molon, da oltre dieci anni in diversi ruoli nella rinomata società made in Austria. È lui, data l’assenza di comunicazione ufficiale da parte di Swarovski, che sta guidando ancora la transizione.
Swarovski, il sogno di diamanti accessibili a tutti
La storia dei cristalli austriaci ha più di 125 anni e comincia quando l’artigiano del vetro Daniel Swarovski, nato nel 1862, fonda l’omonima azienda, specializzata nel taglio di pietre con una macchina innovativa, creata per soddisfare il sogno del suo ideatore, ossia «diamanti accessibili a tutti». Era la fine del XIX secolo e il patriarca originario della Boemia aveva già brevettato la sua macchina a Praga nel 1892. Tre anni più tardi, insieme con il francese Armand Kosman, già suo cliente, e con il genero Franz Weis, dà vita alla Kosman, Swarovksi & Co., in breve tempo denominata solo Swarovski. Sede della società è eletta Wattens, in Tirolo, dove nel frattempo Daniel si era trasferito. Da allora, la fabbrica dei cristalli rimarrà sempre lì.

La crescita di Swarovski e la nascita di Tyrolit, colosso degli abrasivi
All’inizio del Novecento gli Swarovski e le loro pietre sono un punto di riferimento nella piccola comunità tirolese e contribuiscono allo sviluppo del paesino che comincia a girare intorno a un business in costante crescita. Nel 1919 Daniel fonda un’altra azienda, la Tyrolit, dal nome del minerale trovato per la prima volta in zona nel 1817. Questa si concentra sulla produzione di abrasivi ed ancora oggi è una delle leader mondiali del settore, con una trentina di sedi sparse su cinque continenti. Con l’arrivo dell’austro-fascismo, l’annessione da parte della Germania e lo scoppio della Seconda guerra mondiale, diventa necessario riconvertire il sistema di produzione. L’azienda inizia così a sfornare soprattutto binocoli e ottiche per le armi. La famiglia Swarovski, vicina negli altri Trenta al nazionalisocialismo, mantiene buoni contatti con il Gauleiter, capo della sezione locale del governo, Franz Hofer e, anche se la produzione di cristalli viene bloccata dal 1943, la collaborazione con la dittatura nazifascista, tornata alla ribalta una decina di anni fa attraverso approfondite ricerche storiche, rimane un punto buio della storia di Daniel e dei suoi discendenti, poco attenti alla rielaborazione del passato.

La morte di Daniel Swarovski e il successo mondiale del marchio
Il patriarca muore nel 1956 e a metà degli anni Sessanta il nipote Gernot Langes Swarovski sale al vertice dell’impero, dove rimarrà sino al 2002. Con lui i cristalli tirolesi diventano un marchio conosciuto in tutto il mondo. La fama tocca il culmine in occasione del centesimo anniversario della fondazione avvenuto nel 1995, celebrato anche con la costruzione del grande parco d’attrazioni Kristallwelten (I mondi dei cristalli) concepito da Andrè Heller. Se i cristalli hanno continuato a brillare anche negli ultimi decenni, la dinastia si è però progressivamente disunita, tra i litigi personali e i conflitti sulla ristrutturazione e sull’orientamento dell’azienda. Gli eredi di Daniel, da Helmut a Christoph, da Paul a Nandja, non sono riusciti a trovare da un lato gli equilibri giusti. In una situazione difficile, si è calata anche la pandemia. Il fatturato è passato da 2,7 miliardi di euro a 1,9 tra 2019 e 2020, quasi contestualmente la questione del licenziamento 600 lavoratori a Wattens, hanno condotto alla rivoluzione dello scorso settembre e alla decisione di trovare un manager esterno per tenere definitivamente separate le faide familiari dal destino della società.