Storia delle ombre nazifasciste nell’insospettabile Svezia

Marco Fraquelli
15/09/2022

Anche la Svezia, culla della democrazia, è stata sferzata da venti di estrema destra, che ora tornano d'attualità. Pure il regista Ingmar Bergman e mister Ikea, Ingvar Kamprad, ne rimasero ammaliati. Nazionalismo esasperato, complotto anti-ebraico, razzismo "romantico": tutti i rigurgiti neri.

Storia delle ombre nazifasciste nell’insospettabile Svezia

«Lascia che ti racconti di mio fratello Richard […]. Nel 1924, a diciassette anni, Richard […] aderì alla Lega nazionalsocialista per la libertà, uno dei primissimi gruppi nazisti svedesi. Solo pochi anni più tardi divenne membro della Sfko, l’organizzazione fascista svedese. Lì conobbe Per Engdahl e altri individui che con il passare degli anni sarebbero diventati la vergogna politica della nazione […]». Questo “inedito” spaccato della storia svedese deve aver sorpreso non poco i milioni di lettori di Uomini che odiano le donne, romanzo di culto, primo della saga thriller Millennium di Stieg Larsson. Perché la vicenda dei tre fratelli Vanger, narrata dal quarto fratello, Henrik, tra i protagonisti appunto del romanzo, poneva il lettore, improvvisamente, di fronte a una verità probabilmente inimmaginabile per chi non si fosse mai addentrato nella storia svedese: anche la Svezia, il Paese dei diritti e della democrazia per antonomasia, il modello, anzi della così tanto celebrata democrazia nordica, conobbe, tra le due guerre mondiali, derive fasciste.

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Le cause del boom nero? Ondata migratoria e crisi economica

La memoria è corsa a questi poco conosciuti precedenti nel momento in cui, alle recenti elezioni politiche, i Democratici svedesi di Jimmie Akesson, partito di estrema destra nato nel 1988 dalle ceneri di organizzazioni come Preserve Sweden Swedish e White Aryan Resistence, ha registrato un vero boom di consensi – 21 per cento (nel 2018 era stato del 4,6) – complici l’inarrestabile ondata immigratoria (dal 2010 al 2020 la Svezia ha accolto un milione e 300 mila stranieri, su una popolazione residente di poco più di 10 milioni), con un conseguente aumento della presenza islamica, e la crisi economica che dal 2008 attanaglia il Paese, mettendo a dura prova il suo tradizionale welfare. Certo, senza un’alleanza con altri gruppi, difficilmente i Democratici potranno far valere la loro posizione di forza. Un po’, in fondo, come era avvenuto in passato, perché, va detto subito, anzi, lo dice bene lo storico Bernt Hagtvet, che, nel caso della Svezia, «Il fascismo […] fu un fenomeno frammentario, eclettico dal punto di vista ideologico, imitativo nello stile ed estraneo alle principali correnti politiche svedesi degli Anni 20 e 30. Non essendo stato sostenuto da invasori stranieri, rimase un movimento marginale, destinato a svanire negli Anni 40, totalmente screditato e senza lasciare alcuna eredità».

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Jimmie Akesson, leader dell’estrema destra svedese. (Getty)

Nazionalismo e “statalismo” esasperati, esaltazione della guerra

A dispetto delle loro limitate dimensioni, e del conseguente scarso seguito, i piccoli gruppi fascisti (e soprattutto filo-nazisti) attrassero tuttavia personalità culturali non proprio insignificanti, a cominciare dal giovane Ingmar Bergman. Per quanto riguarda le radici, è vero che qualificarono la loro ideologia, il loro modello organizzativo e operativo, e persino estetico, più su esperienze esterne, in particolare su quella nazista, ma non vanno tuttavia trascurati alcuni elementi di pensiero per così dire autoctone. È il caso di Rudolf Kyellén, nato nel 1864, sociologo, politologo e geografo, considerato il «padre» della geopolitica, e diretto ispiratore di Karl Haushofer, il teorico del Lebensraum, cioè del concetto nazionalsocialista di «spazio vitale». Kyellén sosteneva una concezione dello Stato come ente giuridico e territoriale insieme, caratterizzato, al pari degli organismi biologici, da un ciclo vitale e da tendenze di sviluppo. Che detto così sembrerebbe una innocua teoria di uno studioso, ma che, in realtà, portavano all’inevitabile corollario del nazionalismo e dello “statalismo” esasperati, cioè della assoluta supremazia dell’interesse dello Stato rispetto a quello dell’individuo e della nazione di crescere e espandersi. Di qui la giustificazione dell’espansione dello Stato più forte a scapito di quello più debole e l’esaltazione della guerra come inevitabile strumento di sviluppo.

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Il regista svedese Ingmar Bergman. (Getty)

Il complotto anti-ebraico: la convinzione che il Paese fosse minacciato

Se poi il professore professava un razzismo «romantico» basato sui legami collettivi della lingua delle tradizioni culturali, ben diversa era la visione dei fratelli Furugård, Birger, Gunnar e Sigur, che, seguaci delle teorie complottistiche ebraiche, fondarono il loro movimento convinti che «Il nostro Paese, la nostra stirpe, le nostre tradizioni e la nostra cultura sono a rischio di estinzione […]. Il pericolo è imminente e abbiamo bisogno di porvi rimedio. Come razza ariana è nostro dovere combattere contro l’Olocausto perpetrato dagli ebrei e cercare di trovare una via d’uscita». E su questa linea si mosse anche un’altra organizzazione il Nationella Samlingsrörelsen (Movimento di unità nazionale), fondato nel 1924 da Elof Eriksson, giornalista, «agitatore» politico e feroce antisemita. Se possibile, questo movimento ebbe ancor meno seguito degli altri, ma merita di essere ricordato perché nel suo alveo si formò un nucleo di militanti destinati a svolgere un ruolo ben più significativo per il fascismo svedese: Konrad Hallgren, Sven Hedengren e Sven-Olov Lindholm, che, nel 1926, crearono l’Organizzazione di combattimento fascista svedese, fusa nel 1930 con la Lega dei fratelli Furugård per dare vita al Partito popolare nazionalsocialista, ribattezzato poi come Partito nazionalsocialista svedese.

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La morte del fondatore di Ikea Ingvar Kamprad sui giornali dell’epoca. (Getty)

L’ideologo Engdahl e il peccato di gioventù di mister Ikea

Mentre per Lindholm e Furugård iniziava la parabola discendente, altri protagonisti si affacciavano con prepotenza nel panorama dell’estrema destra, soprattutto Claes Sven Edvard Engdahl, sicuramente tra i maggiori ideologi del fascismo svedese e che, dopo alcune esperienze di alleanze con altri gruppi, fonda, nel 1941, il Movimento della nuova svedesità. Caso assolutamente unico, l’organizzazione sopravvivrà, pur con alti e bassi, fino alla morte del suo leader, avvenuta nel 1994. Engdahl, anzi, si qualificherà come uno degli esponenti di spicco del neofascismo postbellico europeo. Rivestì, per esempio, un ruolo di primo piano nella creazione del cosiddetto Movimento sociale europeo (Esm), una sorta di alleanza tra neofascisti promossa nel 1951 dal Msi italiano. Il secondo congresso dell’Esm si svolse proprio nell’abitazione di Engdahl, a Malmö, e l’ex leader della Nuova svedesità entrò a far parte del direttorio del movimento, con Augusto De Marsanich, Maurice Bardèche e Karl-Heinz Priester. Ma il nome di Engdahl tornerà agli onori della cronaca qualche anno dopo la sua morte, quando venne diffusa una parte della sua corrispondenza personale nella quale si rivelava che il fondatore dell’Ikea, Ingvar Kamprad, aveva militato, durante la guerra, nel movimento del leader fascista. Kamprad si scusò pubblicamente, sostenendo si fosse trattato di un errore di gioventù. Anche se, ancora nel 2011, la giornalista televisiva Elisabeth Aasbrink rivelò particolari che addossavano a Kamprad responsabilità ben più pesanti, a cominciare dal fatto che il creatore dell’Ikea non solo fosse stato iscritto al partito nazionalsocialista svedese (tessera numero 4.014), ma aveva militato attivamente, tra il 1941 al 1945, nel gruppo d’azione Sss, che aveva il compito di arruolare nuovi camerati.