La Svezia si divide sul verde. La nazione scandinava, che da anni ricorre alla silvicoltura a copertura continua, è divisa in materia di gestione del proprio patrimonio forestale. Sempre più proprietari terrieri stanno abbandonando le vecchie tecniche in favore del disboscamento intensivo. A farne le spese sono gli alberi più grandi e antichi tagliati per fare spazio a specie più piccole, tra cui l’abete rosso, capaci di soddisfare maggiormente il fabbisogno di legname e biocarburanti e di catturare meglio il carbonio presente nell’aria. «È una devastazione», ha affermato al Guardian Magnus Bondesson dell’Agenzia forestale svedese. «A pagare è soprattutto la biodiversità». Il taglio netto degli alberi, che riguarda circa 500 chilometri quadrati di foresta all’anno, è ormai una questione politica scottante, soprattutto dopo la richiesta dell’Ue di rallentare i ritmi del disboscamento e proteggere le aree verdi. Una richiesta non accolta di buon grado da Stoccolma, tanto che il primo ministro svedese Stefan Löfven ha dichiarato in Parlamento che «la silvicoltura non dovrebbe essere micro-regolamentata da Bruxelles».
I verdi svedesi divisi sulla silvicoltura
A rischio anche la stabilità del governo, con lo stesso partito dei Verdi – nella coalizione di governo – spaccato fra coloro che vedono nello sfruttamento della foresta la chiave per la transizione verde e i sostenitori della biodiversità. «Siamo di fronte al più grave danno ambientale che la Svezia abbia mai affrontato», ha detto la deputata Rebecka Le Moine.
A differenza di molti Paesi europei, infatti, la Svezia non presenta limiti all’abbattimento degli alberi, tanto che è possibile tagliare anche 100 ettari di foreste in un colpo solo, danneggiando irrimediabilmente le oltre 2 mila specie. Ecco perché occorre intervenire al più presto. Fondamentale sarà il meeting dei Verdi il prossimo ottobre. In quell’occasione Le Moine intende avanzare la proposta di limitare il disboscamento a due soli ettari. Non solo. Sul tavolo anche una nuova tassa sul legno alla stregua di quanto accade per il carbone e per il petrolio non considerandolo più una risorsa rinnovabile. Diversa l’opinione di Maria Gardfjell, portavoce del partito per le foreste. «La politica di Rebecka non coincide con la nostra», ha detto al Guardian. «In futuro avremo grande bisogno di prodotti ricavati dalle foreste se vogliamo eliminare plastica e petrolio dalle nostre vite».
Gli alberi più giovani assorbono più anidride carbonica di quelli secolari
Se con l’abbandono della silvicoltura la biodiversità è in pericolo, i vantaggi in termini di benefici ambientali potrebbero essere notevoli. Secondo Tomas Lundmark, professore di gestione dell’ecologia forestale presso l’Università svedese di scienze agrarie, alberi della stessa età permettono di assorbire il carbonio fino al 30 per cento in più rispetto alla silvicoltura a copertura continua. Lo scienziato ha affermato infatti che la capacità degli alberi di assorbire la CO₂ diminuisce con il tempo, tanto che gli esemplari fra i 30 e i 50 anni hanno un’efficacia ben superiore rispetto a quelli secolari. Al momento, le foreste svedesi coprono il 70 per cento del territorio nazionale e sono in grado di assorbire 48 milioni di tonnellate nette di anidride carbonica all’anno. I biocarburanti, cui fornitura è triplicata negli ultimi 40 anni, forniscono quasi il 30 per cento dell’energia totale, contribuendo a dimezzare il consumo di prodotti petroliferi. Per Le Moine, però, niente di tutto questo vale la distruzione dell’habitat naturale. «Continuano a dirci che ora abbiamo più foreste di quante ne avessimo prima», ha concluso. «Non abbiamo mai avuto così tanti alberi, ma non abbiamo mai avuto un ecosistema forestale così ristretto».