Svezia, il boom del Meloni scandinavo Akesson e la caccia all’immigrato

Lia Celi
12/09/2022

Finiremo come la Svezia? Il boom del leader di estrema destra Jimmie Akesson non promette bene. Un risultato ottenuto cavalcando immigrazione e xenofobia. Proprio come Giorgia Meloni. Ma almeno lui non è omofobo e ha sostituito la fiamma con un fiorellino.

Svezia, il boom del Meloni scandinavo Akesson e la caccia all’immigrato

E noi faremo come la Svezia? Bisognerà aspettare il 26 settembre per eliminare un punto interrogativo che, stando ai sondaggi, è già puramente retorico. Di certo è l’ultima tornata elettorale svedese a profumare un po’ di Italia: quattro giorni per avere i risultati definitivi sono tempi più nostrani che scandinavi. Una lungaggine che allontana di qualche decina di ore in più la prospettiva di dover archiviare un mito appena meno ammaliante, rassicurante e tenace della monarchia britannica: il paradiso terrestre della socialdemocrazia svedese.

Il boom di Jimmie Akesson, il Meloni svedese

Perché sarà difficile abituarsi a declinare al maschile la regalità inglese dopo 70 anni di “Elizabeth Regina”, God Save the Queen, eccetera, ma non sarebbe uno scherzo nemmeno dover elaborare una decisa sterzata a destra della Svezia, se il conteggio dei voti confermerà che la coalizione Moderati-Democratici ha scalzato quella guidata dai socialdemocratici di Magdalena Andersson. Al momento il suo resta il primo partito (lo è da 105 anni, salvo brevi parentesi), con un 30 per cento che il Pd non ha mai visto nemmeno con il telescopio astronomico. Ma dietro di lei, staccato di 10 punti, c’è Jimmie Akesson, il leader dei Democratici Svedesi, un partito nato nel 1988 come espressione dell’estrema destra. Che a quelle latitudini non si bea di camicie nere, mascelloni e suonerie con Faccetta nera, ma si richiama paro paro ad Adolf Hitler, soprattutto in fatto di xenofobia e difesa dell’uniformità etnica del popolo svedese, già valori fondanti di Preserve Sweden Swedish e White Aryan Resistence, organizzazioni dalle cui ceneri nacquero i Democratici. Nota bene: rispetto agli alti, biondi e occhiazzurri scandinavi perfino il Führer soffriva di complesso di inferiorità, perché li considerava più puramente ariani dei tedeschi, contaminati da slavi e latini.

Svezia, il boom del Meloni scandinavo Akesson e la caccia all'immigrato
Il leader dei Democratici svedesi Jimmie Akesson (Getty Images).

I cosiddetti Democratici svedesi hanno cavalcato l’immigrazione

Nell’agiata ed evoluta Svezia, ancora al settimo posto tra i Paesi più felici del mondo secondo il World Happines Report 2022 (per la cronaca, l’Italia è al 31esimo, fra Uruguay e Kosovo), i Democratici svedesi sarebbero rimasti un pittoresco fenomeno di nicchia se non fosse stato per ciò che per i partiti di estrema destra è l’equivalente delle noccioline di Superpippo: l’immigrazione, che in Svezia è stata imponente. Dal 2010 al 2020 il regno di Carlo Gustavo ha accolto un milione e 300 mila stranieri, che su una popolazione residente di poco più di 10 milioni è decisamente parecchio. Il picco di arrivi è stato toccato nel 2015, con la crisi siriana: e il sistema di accoglienza, che fino ad allora aveva più o meno retto, ha iniziato a scricchiolare paurosamente. Le casse dello Stato, depauperate dalla crisi del 2008, seguita dalla chiusura di molte fabbriche e da un’ondata di disoccupazione, non ce la facevano più ad assicurare il leggendario welfare goduto da sempre dai nativi e agognato da ogni migrante. Quegli scricchiolii sono diventati una dolce musica per le orecchie di Jimmie Akesson e camerati, pronti a cavalcare i timori di un Paese sempre più vecchio e non omogeneo come mentalità: lo straniero può non essere uno spauracchio per chi vive in grandi città cosmopolite come Stoccolma o Malmö, ma nelle campagne tirare fuori torce e forconi è un attimo. Il paradosso è che l’aumento della criminalità, lo spaccio di droga e le lotte fra gang, problemi di cui la destra accusa i migranti (specie se con la pelle non lattea e di religione musulmana) sono concentrati nei ghetti urbani, e in campagna di immigrati ce ne sono pochi o nessuno.

Il passato buio dei socialdemocratici, tra ingegneria sociale e sterilizzazione forzata

Ora, un partito neonazista che si lancia in politica con il nome “Democratici” è più o meno come una bottiglia di acido muriatico messa nel reparto bibite con l’etichetta “Gazzosa”, e spero per gli svedesi che le loro norme sulla denominazione delle bevande siano più severe di quelle sulla denominazione dei partiti. Ma non è che quanto a xenofobia i socialdemocratici siano molto più affidabili. E non solo perché gli ultimi governi di centrosinistra hanno reso molto più rigide le leggi sull’immigrazione, la naturalizzazione e i ricongiungimenti. Che il mirabolante stato assistenziale svedese sia nato da un piano di “ingegneria sociale” in cui rientravano politiche eugenetiche non troppo dissimili da quelle di zio Adolf non è un segreto. Il welfare socialdemocratico nasce all’insegna del vecchio slogan dello spumante Cinzano: «Per molti, ma non per tutti». Non per i disabili, gli emarginati, i perdigiorno, gli zingari, gli individui di “razza mista” e le madri single “dallo stile di vita instabile”. A questi, a differenza che nel Terzo Reich, era permesso vivere, ma non riprodursi. Fra il 1935 e il 1976 nel paese di Pippi Calzelunghe e Rasmus il Vagabondo furono sottoposti alla sterilizzazione forzata più di 62 mila “indegni”, per il 90 per cento donne. In effetti la via più rapida per combattere le disuguaglianze è eliminare i disuguali. Chi avrebbe detto che ci fosse così poca distanza tra l’«hej hej» e l’«heil heil»?

Svezia, il boom del Meloni scandinavo Akesson e la caccia all'immigrato
Jimmie Akesson (Getty Images).

Il moderatismo di facciata di Jimmie che ha tolto la fiamma dal simbolo

Dicono che l’astuto Jimmie Akesson sia un Meloni scandinavo – in pratica, più istruito e non omofobo – ma come aspetto ricorda Salvini dopo una cura detox. Anche lui, per rassicurare l’Europa, si è incipriato di moderatismo e ha rinunciato alle tesi più estreme; anzi, è andato anche più lontano della Nostra, sbarazzandosi degli elementi più oltranzisti ed eliminando dal simbolo dei Democratici la fiamma (sì, ce l’avevano anche loro) per sostituirla con un bel fiore azzurro. Web-designer e tastierista in un gruppo rock, ha alle spalle un esaurimento nervoso e un debole per le scommesse online (nel 2014 ci avrebbe speso più di 70 mila euro, più della sua entrata annuale, tasse escluse). In attesa di sapere se con la sua campagna fondata sulla criminalizzazione dell’immigrato vincerà la scommessa delle urne, possiamo meditare sulle parole di un suo rimpianto connazionale, il giallista Stig Larsson: «Trovo solo sia patetico che i farabutti abbiano sempre qualcuno da incolpare».