Suicidio assistito, eutanasia e sedazione profonda sono termini spesso utilizzati come sinonimi ma che in realtà, dal punto di vista medico e giuridico, si riferiscono ad operazioni distinte: vediamo cosa sono e che differenze vi sono tra le tre pratiche.
Suicidio assistito: cos’è
Il suicidio assistito è l’atto di porre fine alla propria esistenza in modo volontario e consapevole mediante l’auto somministrazione di dosi letali di farmaci con l’assistenza di un medico o di un’altra persona. Si tratta di un’azione che avviene in luoghi protetti dove soggetti terzi si occupano di assistere la persona dal ricovero, alla preparazione delle sostanze fino alla gestione tecnica e legale post mortem.
In Italia, la pratica è consentita dalla legge dopo la sentenza della Corte costituzionale 242/2019 sul caso Cappato-Antoniani. Il 15 giugno 2022 si è verificato il primo caso di suicidio assistito in cui Federico Carboni, rimasto tetraplegico dodici anni prima a causa di un incidente, ha deciso di iniettarsi farmaci in quantità letali per “addormentarsi chiudendo gli occhi senza più ritorno” (ndr. da una sua lettera scritta prima di morire).
Eutanasia: differenze con il suicidio assistito
L’eutanasia, ancora illegale nel nostro paese, è invece l’atto di procurare la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. Sono dunque almeno due le sostanziali differenze con la pratica precedente:
- se il suicidio assistito prevede che sia la persona interessata ad assumere il farmaco letale (vi è quindi partecipazione attiva del soggetto), l’eutanasia richiede che sia un’altra persona ad iniettarlo (previa, comunque, l’espressione della volontà di morire da parte del paziente);
- se, inoltre, nel suicidio assistito il medico si limita a preparare il farmaco che il soggetto assumerà per conto proprio, nel caso dell’eutanasia è il sanitario che lo somministra per via endovenosa.
Nei paesi dove è consentita, le richieste di chi vi vuole accedere all’eutanasia vengono valutate da commissioni di esperti che, solo dopo un’accurata analisi delle condizioni cliniche, della compromissione della qualità della vita e della piena libertà decisionale della persona, danno il via libera per accedere agli interventi.
Sedazione profonda: cos’è
Con il termine sedazione palliativa profonda si intende infine la riduzione intenzionale dei farmaci, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione del dolore del paziente altrimenti intollerabile. Una procedura che si distingue dalla morte medicalmente assistita per due fattori:
- il tempo che intercorre tra la somministrazione del farmaco e il decesso (pochi minuti nel caso dell’eutanasia, massimo mezz’ora nel suicidio assistito e alcuni giorni con la sedazione);
- i farmaci utilizzati, che in questo caso sono benzodiazepine e neurolettici (spesso con oppioidi) mentre negli altri due casi barbiturici ad alte dosi.