Interno giorno
Mi dicono di stare calmo. Mi dicono che tutto si risolverà. Mi dicono di portare pazienza. Mi dicono un’altra volta di stare calmo. Mi dicono: «Tenteremo di concludere il prima possibile Andrea, non ti preoccupare». Mi dicono, «Sarai tenuto sotto controllo». «Lo so», rispondo cupamente. «Siamo qui per aiutarla signor Frateff-Gianni», dice il mio avvocato. «Oh, piantala cazzo!», sbotto. «Dimmi qualcosa che non so, dimmi se riuscirò ad evitare di essere sfrattato, porca puttana! Ti diamo tutti questi soldi per che cosa?». Il mio avvocato lancia un’occhiata a mio fratello Stefano. «Andrea, per favore, tranquillizzati!». «Bla, Bla, Bla!», sto gridando. «Un sacco di stronzate, tanto quello con il culo per terra sono io, e a voi non ve ne frega un cazzo!». Ho tanta adrenalina in corpo che sono scosso da un tremito violento. La stanza si inclina, poi si raddrizza. Dopo sono fuori dallo studio legale in via Sant’Eufemia, salgo in sella alla bici, mi slaccio il secondo bottone della camicia e inizio a pedalare fortissimo. La situazione è questa: due giorni fa sono venuto a sapere che da quando sono diventato maggiorenne, cioè più o meno una settimana fa, sono diventato il titolare di un fondo fiduciario lasciatomi in eredità da mia madre, di cui fino a l’altro giorno non avevo mai sentito parlare. Due giorni fa ho quasi sfasciato una suite del Four Season in Via Gesù dove mio padre, arrivato in Italia in fretta e furia e sotto falso nome, ha provato, con l’inganno, a farmi firmare dei fogli in compagnia di uno stuolo di avvocati. In tutta risposta l’appartamento dove vivo in via Amedeo d’Aosta è stato messo sotto ipoteca e questa mattina ho ricevuto una lettera da uno studio legale in Largo Augusto che mi intimava di lasciarlo entro 15 giorni.
Soliti raid notturni in Audi sconvolti di brutto, tra i licantropi e i tossici, i vampiri e gli sbirri
Esterno notte
Una BMW X5 nera si parcheggia in via Amedeo d’Aosta quando sono passate da poco le 10 di sera. La porta posteriore si apre, scende una ragazza con un capellino da baseball blu, i capelli raccolti in una coda di cavallo. Allegra. La BMW X5 nera riparte e si immette in Viale Abruzzi. «Cia-ao Andre», cinguetta la voce. «Cos’è successo?», chiede. «Cosa ci fai con il mio cappellino da baseball?», domando sorridendo. «Très jolie!», scrolla le spalle. «Un periodo infernale, sono sommerso dalla merda, assolutamente sommerso», dico. Così le racconto tutto, dice di non preoccuparmi, che non mi sfratteranno, che parlerà con sua madre, che un bonifico verrà accreditato sul mio conto corrente al Credit Suisse in meno di una settimana. Mezz’ora dopo la BMW nera passa a riprenderla. «Ci sentiamo domani, Andre». «D’accordo». Mi dà un bacio lieve sulla guancia e si allontana. Il suv nero con i finestrini scuri scompare alle mie spalle. Io mi dirigo nella direzione opposta. Poi sono quasi le tre del mattino e rollo una canna a bandiera di ganza frizzante mentre Alberto guida con abilità e sprezzo del pericolo per le strade della city con un pezzo di Little Simz sparato nello stereo ad un volume berlinese. Soliti raid notturni in Audi sconvolti di brutto, tra i licantropi e i tossici, i vampiri e gli sbirri. A un certo punto un travestito ci entra in macchina, lo cacciamo e andiamo a prenderci un’altra birra al baracchino di Piazza della Repubblica. Fuori la luce artificiale dilata la città. Un cane corre impazzito. Lo chiamo. Si ferma, mi guarda, ricomincia a correre. Poco dopo le quattro scrivo sotto casa della ragazza che monopolizza i miei pensieri in questo ultimo periodo «Je t’aime» con una bomboletta. Mi ricovero tra le lenzuola che il cielo è già chiaro con l’iPad sulle ginocchia e tutto sconvolto inizio a vedere la terza stagione di Succession, una serie tv targata HBO, che racconta le perverse dinamiche familiari di un magnate dei media in cerca di un erede a cui affidare l’impero costruito in una vita. Praticamente la storia della mia famiglia, se solo mia madre fosse ancora viva e mio padre non fosse latitante da circa sei mesi per truffe finanziarie.
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