Li chiamavano graffiti
L'epopea dei writer milanesi degli Anni 80 e 90 e la street art di Blu, il Banksy italiano, raccontate nei libri di Corrado Piazza e Fabiola Naldi.
Quando il writing arrivò in Italia, verso la metà degli Anni 80, non si parlava nemmeno lontanamente di Street Art e i writer, chiamati in maniera dispregiativa graffitari, erano visti come poco più che dei teppisti. L’intero movimento culturale che stava nascendo fu vissuto semplicemente come un indigesto fenomeno delinquenziale e immediatamente relegato alla stregua di una specie di gangsterismo da teenager. È esattamente in quel periodo storico che ci catapulta Buio Dentro, di Corrado Piazza (appena ripubblicato da Shake in una seconda edizione ampliata), raccontando il decennio 1987-1998, ovverosia «l’età leggendaria del writing underground a Milano».
La storia del bombing e i pionieri milanesi
Costruito con l’estetica tipica delle fanzine punk, fatte di foto in bianco e nero e di collage fotocopiati, il libro di Piazza tratta di un territorio fino a ora inesplorato dalle altre pubblicazioni sull’argomento, quello del bombing, «la pratica dell’aerosol writing in contesti esclusivamente non consentiti, dunque illegali, e il cui obiettivo unico è quello di scrivere il proprio nome perché lo legga il maggior numero di persone possibile. Punto». Se il primo a ricevere l’attenzione della stampa americana fu Taki183 su cui, il 21 luglio 1971, il New York Times scrisse un lungo articolo, in Italia i pionieri di questo movimento furono un gruppo di ragazzi di Milano est, conosciuti in città con l’appellativo di PWD, acronimo di Pals With Dreams, una crew che ha fatto la storia. Flycat, Spyder 7, Sky-4 furono tra i primi writer a “bombardare” la metropolitana di Milano aprendo la strada a tutti gli altri e scegliendo come vittime predestinate per i loro assalti le banchine di sosta e i convogli dei treni. «A differenza del treno», scrive Piazza, «la banchina della metro si offriva come una sorta di quinta teatrale, il palcoscenico ideale per mostrare il frutto del proprio lavoro».

L’epopea dei CKC
Buio Dentro racconta, attraverso la voce diretta dei protagonisti dell’epoca, questa esplorazione dantesca del sottosuolo che in breve tempo si trasformò in una vera e propria dichiarazione di guerra all’Atm (l’azienda di trasporti milanese) poiché, «a un certo punto salta fuori il passe-partout delle stazioni di Milano». Furono i CKC i primi ad averle, ed è proprio a loro che gran parte del libro è dedicato, «la crew che più di ogni altra ha incarnato il modello da imitare per tutti gli Anni 90». «Noi come gruppo ce la tiravamo che eravamo CKC, non volevamo nessun altro. Eravamo noi, noi e basta», ricorda a un certo punto Bang, alternandosi con i suoi sodali in una serie di racconti adrenalinici, rocamboleschi e allo stesso tempo esilaranti fatti di inseguimenti, imboschi, appostamenti e spedizioni lampo. «Noi ci definiamo ‘tag master killer’ perché scriviamo l’illeggibile», raccontava nel 1983 a Francesca Alinovi, Rammellzee, di certo il più visionario graffitista della sua generazione, «se vuoi avere uno stile selvaggio, devi essere selvaggio con il tuo stile». Sicuramente, a loro modo, i protagonisti del libro di Corrado Piazza lo furono.
Blu, il Banksy italiano raccontato da Fabiola Naldi
Riguardo al fenomeno della Street Art, invece, un nome imprescindibile in Italia è sicuramente quello di Blu, considerato dai più il Banksy italiano. Di lui non si sa quasi nulla, neppure il vero nome. Con la sua abilità tecnica, la forza dei temi trattati e l’estrema radicalità di un approccio anti-mainstream e non commerciale, l’anonimo street artist è diventato una star internazionale acclamata in tutto mondo. A raccontarlo esce ora il saggio Tracce di Blu, edito dalla piccola casa editrice Postmedia, scritto dalla critica e curatrice Fabiola Naldi, una delle maggiori esperte di arte urbana in Italia. Un libro di piccole dimensioni, privo di indice, bibliografia generale e di tutti i comuni apparati accademici, che risulta però particolarmente interessante per le indicazioni scientifiche che fornisce riguardo al cosa voglia dire fare arte in strada. «Quando si decide di studiare e lavorare con l’arte urbana il primo elemento da tenere in considerazione è che ciò che si vede oggi potrebbe non esserci più il giorno dopo. In parte, se parliamo di Graffiti Writing il processo di realizzazione, di copertura e di ulteriore intervento è quasi fisiologico. Ciò che c’era quindi prima può non esserci più anche per la possibilità che quella testimonianza venga cancellata perché considerata atto vandalico. Per l’arte urbana la mortalità di un intervento è quasi inevitabile, ed è elemento intrinseco dello stesso processo», spiega la Naldi in apertura.

Un’arte che è critica alla società e messaggio politico
Ed è proprio a partire da questo semplice concetto che la riflessione sulla figura di Blu diventa centrale. La street art di Blu è sempre stata legata alla strada e al territorio piuttosto che ai musei e alle gallerie d’arte. La maggior parte dei suoi lavori è stata realizzata su edifici occupati e i messaggi che i suoi giganteschi wall in giro per il mondo rappresentano vengono proiettati sulla coscienza di tutti giornalmente. Una critica alla società, al potere, alla politica che fa riflettere sulle ingiustizie e l’abbandono, puntando il dito sui rischi di un’economia che sfrutta i Paesi più poveri e che senza scrupolo mette in pericolo le nostre risorse naturali. Un’arte essenzialmente politica che si è manifestata anche in clamorose operazioni di autocensura quando lo stesso Blu, per esempio, decise di cancellare le sue opere nel quartiere di Kreuzberg a Berlino nel 2014 per impedire che fossero travolte dai processi di gentrificazione o quando, nel 2016, con l’aiuto di un gruppo di occupanti dei centri sociali XM24 e Crash, decise di ricoprire di vernice tutti i suoi muri a Bologna per protestare contro una mostra intitolata Street Art. Banksy & Co che comprendeva, senza autorizzazione, la presenza di alcuni dei suoi lavori. Un libro Tracce di Blu per intenditori ma anche adatto a chi vuole farsi un’idea sul percorso dell’indocile street- artist che qualche anno fa il Guardian e l’Observer nominarono come uno dei 10 graffiti-writer più interessanti in circolazione a livello mondiale.