Sono passati 50 anni da quel 17 maggio. Era il 1973, quando, presso la Questura di Milano e alla presenza del Ministro dell’interno, Mariano Rumor, si stava svolgendo la cerimonia commemorativa del primo anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi. Attorno alle 11, verso il termine della cerimonia, un uomo scagliò una bomba a mano: il tragico bilancio fu di quattro morti e di una cinquantina di feriti. L’attentatore, immediatamente arrestato, dichiarò di aver agito da solo, in quanto spinto dalla propria ideologia di «anarchico individualista». Durante le scorse ore, il Questore Giuseppe Petronzi, il Prefetto Renato Saccone e il sindaco Giuseppe Sala, con alcuni familiari delle vittime, hanno preso parte alla messa in suffragio, deponendo le corone alla targa commemorativa.

Le motivazioni del gesto
Dopo le indagini, venne poi accertato che l’attentato era stato voluto e realizzato dal gruppo di estrema destra denominato Ordine nuovo. Gli intenti erano di natura punitiva nei confronti di Mariano Rumor, responsabile di avere promosso lo scioglimento dell’organizzazione secondo l’applicazione della legge Scelba (che vietava la riorganizzazione del disciolto partito fascista), unitamente a quello di «determinare uno stato di caos e di tensione che avrebbe reso possibili una svolta autoritaria nel Governo della Nazione e la emanazione di leggi di emergenza», come riportato dalla Rete degli Archivi.
La condanna dell’attentatore
Dopo diversi e numerosi processi, l’attentatore fu condannato, ma non gli esponenti di Ordine nuovo, nonostante l’accusa e alcune sentenze di merito li avessero individuati come autori della strage. Come riporta la Rete degli Archivi, nel 2005, la Corte di Cassazione dirà: «Deve ritenersi dato storico, oltre che processuale, ormai incontestabilmente accertato, la “provenienza” dell’attentato […] da esponenti di Ordine nuovo che avevano utilizzato chi fu arrestato in flagranza, legato a loro da vincoli antichi di vario tipo, al fine di mimetizzare la vera matrice dell’attentato e di accreditare la tesi della matrice anarchica che era insita nella strategia della tensione voluta da Ordine nuovo». Secondo la Corte, non poteva affermarsi che gli imputati avevano concretamente agevolato la realizzazione del gravissimo crimine.