La lobby dell’auto è in panne. Le frignanti grida dei Ceo di case automobilistiche i quali avvertono che il passaggio ai veicoli elettrici minaccia posti di lavoro continuano a non trovare orecchie attente nei governi e nella Commissione europea. Possibile? Più d’uno sostiene che l’industria delle quattro ruote abbia perso la faccia a causa del dieselgate e, in particolare, del modo in cui lo scandalo fu gestito fin dalle prime ore. Il dito è puntato soprattutto su due costruttori: il Gruppo Volkswagen e il suo Ceo Martin Winterkorn e Fiat/Chrysler di Sergio Marchionne. Ma non sono gli unici coinvolti nello scandalo delle manomissioni ai motori diesel al fine di ridurre il valore delle emissioni in modo che quest’ultime sembrassero più basse rispetto alla realtà. Come osservò il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, «l’obiettivo dei dirigenti era di spingere i profitti delle società e di conseguenza i bonus personali».
Per il Ceo di Stellantis Tavares costi aggiuntivi insostenibili
L’ultimo, in ordine di tempo, a lagnarsi della transizione ai veicoli elettrici è Carlos Tavares, il Ceo di Stellantis, il gruppo nato dalla vendita di FCA a PSA e la conseguente fusione delle due case automobilistiche. Anche il 63enne portoghese afferma che il passaggio comporta costi aggiuntivi del 50 per cento rispetto a un veicolo convenzionale. Chi paga? Non certo solo il consumatore e l’indotto. Dunque, si deve tagliare. In primis, guarda caso, i posti di lavoro. Ovvio che i non originali presentimenti del Ceo di Stellantis abbiano fatto il giro del mondo. E lo hanno fatto (quando si dice: le coincidenze) proprio mentre a) Peugeot e Citroën sono finiti nel mirino della giustizia tedesca le cui indagini riguarderebbero i motori che sono stati utilizzati nei veicoli SUV dei due marchi francesi; la procura di Francoforte ha messo sotto indagine alcuni dipendenti dell’ex PSA (così come ex FCA lo sono negli Stati Uniti) e b) la Commissione europea ha chiesto all’Italia di applicare sanzioni all’ex FCA per l’utilizzo improprio di dispositivi di manipolazione delle emissioni di Fiat 500X, Fiat Doblò e Jeep Renegade.

Dubbi sui posti di lavoro persi nel passaggio all’elettrico
Sincronismi e dietrologie a parte, il passaggio ai veicoli elettrici quanti posti di lavoro eliminerà? Anche su questo tema la credibilità delle lobby dell’auto (costruttori e fornitori) è fortemente messa in dubbio. Da almeno un paio d’anni, circolano i numeri più svariati, ma è opinione diffusa che siano frutto di calcoli tra il nasometrico e lo spannometrico e non frutto di approfondite analisi. Ma c’è di più. Non mancano i battibecchi e i rinnegamenti. L’anno scorso, la Nationale Plattform Zukunft der Mobilität, un organo consultivo del governo tedesco, sostenne che oltre 400 mila posti di lavoro nell’industria automobilistica tedesca potrebbero scomparire entro il 2030. Il rapporto fu ampiamente ripreso dai media tedeschi. L’associazione dell’industria automobilistica VDA (diciamo l’equivalente di Anfia più Unrae) respinse i risultati, affermando che presentavano uno «scenario irrealistico ed estremo». Uno studio spesso citato del Boston Consulting Group (BCG) ha rilevato che c’è poca differenza nel numero di personale e nella quantità di lavoro coinvolti nella costruzione di un’auto elettrica e di un veicolo con motore a combustione. Sono necessari meno lavoratori per costruire il motore da solo, ma non l’intera vettura, perché la mobilità elettrica richiede nuove fasi di produzione, come quella per l’imballaggio di celle e moduli della batteria, nonché l’elettronica di potenza e la gestione termica della batteria. Secondo lo studio, anche l’assemblaggio dei veicoli o la posa dei cavi richiede più lavoro per le auto elettriche che per i veicoli con motori a combustione.
C’è che pensa che il passaggio all’elettrico sia un vantaggio
A intorbidare le acque ci ha pensato un’analisi congiunta del think tank Agora Verkehrswende e ancora del Boston Consulting Group stando alla quale il passaggio alla mobilità elettrica potrebbe rivelarsi un vantaggio per l’industria automobilistica tedesca, poiché creerebbe posti di lavoro anziché distruggerli. Inoltre, gli stati economicamente più deboli della Germania orientale potrebbero emergere come i maggiori vincitori dalla transizione dalla tecnologia dei motori a combustione nel prossimo decennio. Probabilmente, lo studio commissionato dall’associazione europea della componentistica CLEPA alla società di consulenza Price Waterhouse Cooper (PwC) con il titolo Vehicle Transition Impact Assessment Report 2020 – 2040 – A quantitative forecast of employment trends at automotive suppliers in Europe può rendere lo scenario occupazionale più chiaro. In sostanza, nell’analisi di 71 pagine, i ricercatori sostengono che un’accelerazione spinta verso l’elettrificazione metterebbe a rischio in Europa entro il 2040 501 mila posti di lavoro attualmente dedicati alla produzione di motopropulsori tradizionali. Di questi, 291 mila andrebbero in fumo già tra il 2030 e il 2035. Bruxelles e cancellerie ascolteranno questo il grido d’allarme?