La telenovela della costruzione dello stadio della AS Roma a Tor di Valle si arricchisce di un nuovo capitolo. Dopo la rinuncia del club al progetto, funestato da un intricato groviglio di nodi amministrativi, peripezie finanziarie e guai giudiziari su cui si è innestata infine la pandemia, dall’Assemblea capitolina arriva l’ipotesi di chiedere addirittura un risarcimento danni alla società giallorossa.
A muoversi è ancora una volta il fronte dei consiglieri ex M5s da sempre contrari all’opera. Monica Montella, membro della commissione capitolina al Bilancio, ha appena depositato un’interrogazione alla sindaca, Virginia Raggi, e all’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori, in cui ricostruisce il tormentato iter burocratico del progetto e punta le sue conclusioni su due temi in particolare: i dubbi sulla regolarità delle procedure di espropriazione dei terreni nell’area, con il rischio di un eventuale danno erariale anche rispetto alle indennità di esproprio, e soprattutto l’idea finale di «una richiesta risarcimento danni nei confronti della A.S. Roma per la rinuncia all’opera», scrive la consigliera nel suo atto di sindacato ispettivo. In merito al primo punto, Montuori era in realtà già intervenuto poche settimane fa, precisando: «Non abbiamo espropriato nulla, ma sono stati fatti gli atti per avviare la procedura espropriativa».

La grana stadio irrompe nella campagna elettorale a Roma
La materia è incandescente, soprattutto con l’approssimarsi del voto amministrativo, anche ma non solo alla luce del forte coinvolgimento emotivo dei tifosi romanisti in città. I vertici giallorossi hanno gettato la spugna sostenendo che non sussistono più «i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio», soprattutto in ragione della pandemia da Covid che «ha radicalmente modificato lo scenario economico internazionale, comprese le prospettive finanziarie dell’attuale progetto». Tuttavia, la delibera 32 del giugno 2017 non è stata revocata, dunque si va avanti con l’obiettivo di «uno stadio fatto bene», come ha ribadito Raggi. E la vicenda potrebbe trasformarsi in un ulteriore terreno di gioco da derby, visto che da più parti si vocifera di un possibile interessamento della Lazio a subentrare nel progetto.
Una querelle cominciata nel 2014
La querelle su Tor di Valle parte nel maggio 2014 con l’accordo tra l’amministrazione Marino, la AS Roma ed Eurnova Srl, in qualità di promotore e proprietario dei terreni a Tor di Valle. Parliamo dell’azienda di costruzioni del gruppo che fa capo a Luca Parnasi, considerato fino a qualche anno fa un enfant prodige del mattone capitolino, il 40enne che poteva riscattare le sorti di Parsitalia, la storica holding di famiglia sepolta sotto mezzo miliardo di debiti. In quel momento, la via per la rinascita passa soprattutto dal nuovo stadio e gli uffici capitolini accordano un raddoppio delle volumetrie per circa 120 mila metri quadrati, giustificandolo con l’escamotage del parco a tema. A maggio del 2016 Eurnova deposita il progetto definitivo: il Comune deve metterci 220 milioni in opere infrastrutturali strettamente funzionali, mentre il proponente sborsa appena 50 milioni. Nel frattempo, però, l’amministrazione ha cambiato colore politico con l’avvento del M5s.

La revisione del progetto: addio business park
La prima conferenza dei servizi boccia l’opera nell’aprile del 2017. Dunque, il progetto va rivisto in conformità con il Piano regolatore che nella zona di Tor di Valle prevede 63 mila metri quadrati di cubature di cui 53 mila soltanto per lo stadio e 10 mila (quindi circa 30 mila metri cubi) per garantire servizi adeguati. Viene stralciata l’idea di un nuovo ponte sul Tevere, spariscono i parcheggi privati e soprattutto risultano cancellate le famose tre torri di Libeskind, il centro direzionale e commerciale definito “business park”. Si innalzano anche i parametri di sostenibilità ambientale dell’opera e si punta sul rafforzamento della linea Roma-Lido per migliorare l’accessibilità grazie al ferro. Stop, dunque, ai 220 milioni di esborso per il Comune, mentre arriva la già citata delibera dell’Assemblea capitolina di giugno 2017 e a dicembre finalmente la Conferenza dei servizi dà il suo via libera all’opera.
La bufera giudiziaria del 2018
Quando l’iter amministrativo sembra ormai in discesa, ecco la bufera giudiziaria. Nel giugno 2018 Parnasi viene arrestato assieme ad altre otto persone, tra cui politici di levatura regionale e manager pubblici, con l’accusa di corruzione proprio in relazione alla vicenda Tor di Valle. L’operazione giunge quando l’amministrazione capitolina era in procinto di portare il progetto definitivo in aula per l’approvazione della variante urbanistica. E proprio questo è uno dei nodi procedurali su cui Montella punta il dito nell’interrogazione: «La Convenzione con il proponente sarebbe già stata firmata, nonostante non sia stata ancora votata in Assemblea Capitolina la variante urbanistica». Nel frattempo altri guai finanziari hanno investito il Gruppo Parnasi ed è peraltro in fase di avvio anche il processo civile intentato dalla Sais, precedente proprietaria di Tor di Valle, per revocare il passaggio di proprietà a Eurnova, che non ha mai pagato il saldo da circa 26 milioni di euro: un credito poi ceduto in sede di procedura fallimentare della stessa Sais all’immobiliarista ceco Radovan Vitek per appena 5 milioni. Vitek, che intanto sta comprando mezza Capitale, si propone dunque come nuovo, forte interlocutore del Campidoglio sul progetto stadio. In attesa di capire se la Lazio potrà davvero subentrare ai cugini romanisti.