Attento Bridgerton, è arrivato Squid Game. In sole due settimane, il thriller coreano targato Netflix è diventato uno dei prodotti di punta del catalogo, macinando numeri sorprendenti, conquistando un successo di pubblico inaspettato e collezionando una sfilza di meme da record. Risultati che potrebbero portarlo a diventare la serie originale più vista della piattaforma, scalzando l’amatissimo dramma in costume tratto dai romanzi di Julia Quinn.
Squid Game, un brutale gioco di sopravvivenza
Il fulcro del serial è un brutale e violento gioco di sopravvivenza nel quale un gruppo di 456 persone, disperate e piene di debiti, viene coinvolto in una competizione all’ultimo sangue. Per arrivare alla vittoria e, soprattutto, al premio di 45.6 miliardi di won coreani (circa 39 milioni di dollari), i concorrenti devono portare a termine sei prove, basate su giochi d’infanzia che conoscono bene. La sconfitta non è contemplata. A meno che non si voglia rischiare di perdere la vita. A catturare l’attenzione degli spettatori di tutto il mondo, invitandoli al binge watching compulsivo, non è stato tanto il genere, di per sé molto coinvolgente ma già noto e ampiamente declinato in passato, ma la combinazione di quattro elementi che hanno dimostrato di funzionare perfettamente insieme: l’accostamento tra l’innocenza del gioco e il pericolo della morte, personaggi nei quali riconoscersi facilmente, uno studio approfondito e particolarmente disturbante della natura umana e una fotografia curata e suggestiva. «La gente è affascinata dall’ironia che si nasconde dietro a una comitiva di adulti sconfortati e senza speranze che sono disposti a morire per uscire vincitori da una gara per bambini», ha spiegato in un’intervista alla BBC Hwang Dong-hyuk, il regista di Squid Game. «Le regole dei tornei sono semplicissime e non è un dettaglio casuale. In questo modo, infatti, gli spettatori possono focalizzarsi molto più sui singoli protagonisti che sul meccanismo». La ciliegina sulla torta è, sicuramente, la quota nostalgia che pervade ogni singola scena. Soprattutto per i coreani, ritrovare sullo schermo ricordi del proprio passato è un incentivo in più a guardare la serie. «Squid Game mi ha fatto venire voglia di mangiare una caramella Dalgona», ha cinguettato un utente su Twitter, «Sono passati 20 anni dall’ultima volta che ne ho assaggiata una. Esistono ancora? Non credo proprio siano in commercio».
Squid Game, protagonisti donne e uomini comuni
Le figure che si susseguono di episodio in episodio non sono eroi invincibili ma uomini e donne comuni, molti dei quali marginalizzati dalla società e tutti accomunati da grossi problemi economici. Il protagonista principale, ad esempio, è un disoccupato col vizio del gioco che fatica a farsi rispettare dalla sua famiglia. E, nel corso dell’avventura, incontra un transfuga nordcoreano con un tragico passato alle spalle e un operaio pakistano sfruttato dai suoi datori di lavoro. «Soprattutto le giovani generazioni che, nella vita reale, spesso si sentono emarginate o combattono col peso del fallimento, riescono a empatizzare con elementi e storie del genere», ha aggiunto Kim Pyeong-gang, docente di cultura globale alla Sangmyung University. L’educazione alla competitività, tipica della cultura asiatica, ha spesso lasciato chi non è riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati in preda alla disillusione. Lo show, attraverso la chiave della gara, vuole proporre l’idea di un mondo alternativo dove regna il fair play e tutti hanno le stesse chance. Per quanto dirottati, in caso di insuccesso, al più tragico dei finali. «Tutti i partecipanti sono uguali», si sente in una scena, «Vogliamo dare l’ultima opportunità di trionfare a quanti, lì fuori, sono stati vittima di discriminazione».
Squid Game, i modelli d’ispirazione
Appassionati e addetti ai lavori, dopo aver guardato i nove episodi, si sono lanciati nella ricerca di riferimenti o elementi di richiamo a produzioni cinematografiche o televisive precedenti. Due i modelli di ispirazione più citati: i media occidentali hanno insistito molto su una similitudine tra Squid Game e Parasite, il film del regista Bong Joon-ho, vincitore del premio Oscar nel 2019, apparentemente vicini nella trattazione di temi come la disparità economica e le ingiustizie che dominano la società moderna. Al contrario, in Asia, il pubblico ha sottolineato come ci fossero molte più somiglianze con una pellicola giapponese del 2014, As The Gods Will, arrivando addirittura ad accusare Netflix di plagio. Dong-hyuk ha categoricamente smentito le insinuazioni, sostenendo come tra i due prodotti non vi fosse alcun collegamento: «Ho iniziato a lavorare alla serie nel 2008 e a scriverla nel 2009. Queste analogie sono pure coincidenze, non c’è stato nessun tentativo di copia». Al di là delle polemiche, l’hype che si è sviluppato attorno all’action drama ha portato a confermarne la seconda stagione. Ma i fan dovranno attendere a lungo prima di consumarla. «Non ho ancora idea di come strutturarla», ha dichiarato a Variety, «Già solo pensarci è parecchio stancante».