Un insieme di solisti riottosi che non fanno squadra. È questa la foto di gruppo della nostra classe dirigente sportiva, una combriccola di gente in carriera o capitata lì per caso ma pronta a dare un contributo al prosperare del caos. Amici mai, alleati se capita e finché dura, ma con promessa sottintesa di disamore duraturo. E intanto il movimento sportivo italiano vive momenti di ampia contraddizione, con la disciplina sportiva di gran lunga dominante che annaspa e tutte le altre intorno che esprimono picchi di eccellenza. Insomma, un momento di passaggio storico che richiederebbe condivisione di strategia e un minimo di affiatamento fra i soggetti. E invece ci si trova nelle condizioni in cui il massimo che ci si possa augurare è la reciproca indifferenza. L’unica assicurazione che almeno non proveranno ad accoltellarsi reciprocamente alla schiena. Quanto alla mappa dei personaggi, eccone una rapida galleria.
Gabriele Gravina, l’uomo detestato da Lotito e della Lega di Serie A
L’unico presidente Figc della storia che abbia mantenuto la poltrona nonostante una mancata qualificazione della Nazionale azzurra alla fase finale del Mondiale. Basterebbe questo come biglietto da visita di Gabriele Gravina. Ma non renderebbe l’idea della quotidianità di una leadership che non ha ancora capito verso dove debba tirare: se “al bersaglio ambizioso”, o “a campare”, o direttamente “giù il bandone”. Intanto conta i giorni della sua permanenza in carica e fa la cernita di amici e nemici. Per avere idea di chi siano i primi, ahilui, gli tocca leggere l’oroscopo tutte le mattine. I secondi invece sono ben individuabili: per la gran parte stanno in Lega di Serie A, l’organizzazione che più di tutte al mondo incarna il modello che i luminari di Scienze del Management indicano come «casino organizzato». Non c’è modo di avere un rapporto civile con quei signori lì, tanto più che a muovere le fila da quelle parti è sempre Claudio Lotito, presidente e proprietario della Lazio, senatore di Forza Italia, ma soprattutto uomo dotato di un’ammirevole capacità d’azzeccare il garbuglio giusto. Gravina e Lotito si detestano e non fanno alcunché per nasconderlo. E tale, reciproca detestazione si riverbera sui rapporti tra Figc e Lega di Serie A. Se le due organizzazioni fossero ubicate nella stessa via, si assisterebbe a sparatorie quotidiane da un balcone all’altro pure tra i ragionieri.

Lorenzo Casini, colui che non ha capito cosa gli tocchi dire e fare
Giusto per rimanere in tema, Lorenzo Casini è il presidente della Lega di Serie A piazzato lì da Lotito, dopo votazione che ha portato a una maggioranza risicatissima: 11 a 9. Giusto per capire che tipo di ambientino toccasse governare a questo allievo del professor Sabino Cassese, che per presiedere la cosiddetta Confindustria del calcio italiano ha mollato il posto da capo di gabinetto del ministero della Cultura. In passato ha pubblicato libri su temi impegnativi come il rapporto fra beni culturali e eredità storica, o fra Stato e globalizzazione. Adesso gli tocca misurarsi con una combriccola di bottegai iper-localisti che a fare squadra non ci pensano proprio. E senza nemmeno avere la vocazione da Signor Malaussène (ditemene e datemene di ogni, ché tanto sto qui apposta, purché non vi facciate riconoscere fuori da questa stanza) che in un tempo recente ha consentito a Maurizio Beretta di essere il presidente di maggior durata in carica.

Niente da fare, quel fisico del ruolo non ce l’ha. Sicché continua a non capire cosa effettivamente gli tocchi fare e dire. Mandato a esibirsi al Business Football Summit organizzato a Londra dal Financial Times, ha sfoderato perle di saggezza come quella sugli stadi di proprietà («Il problema è burocratico»), sui settori giovanili («Credo sia giusto fare proposte interessanti per giovani e nuove generazioni»), sulle proprietà americane nel nostro calcio («Hanno portato skills che non avevamo»), toccando l’apice con la pensosissima risposta alla domanda su Superlega e ruolo ibrido dell’Uefa in quanto ente che è al tempo stesso regolatore e gestore («Non saprei»). Viene proprio da dire che stàmo n’una bbotte de féro.
Luigi De Siervo, il renziano che arriva sempre tardi
Poiché una figura apicale in Lega di Serie A non bastava per dare lustro all’istituzione, ecco che si sono inventati la leadership duale fabbricando la figura dell’amministratore delegato. Ci hanno piazzato un uomo di foggia Infront nonché d’estrazione renziana, Luigi De Siervo. Cui toccherebbe provare il rilancio della competitività internazionale del nostro massimo campionato. Vasto programma. Per realizzare il quale lui ce la mette tutta e apre uffici all’estero, arrivando regolarmente in ritardo rispetto alle altre principali leghe europee. Trova sempre vuoti i vassoi di tartine, e caffè rancido, Dopo New York è toccato a Abu Dhabi. E faccia pure, se crede che sia la soluzione. Basta che non lasci insoluto il conto della rosticceria all’angolo.

Andrea Abodi, la cui indipendenza fa un po’ paura a tutti
Sembra un marziano. Il confronto con gli altri è impietoso. Per gli altri, va da sé. Infatti Andrea Abodi lo avevano confinato a dirigere l’Istituto del credito sportivo. Lo hanno bruciato come candidato della Lega di Serie A e prima che fosse decisa la nomina a ministro dello Sport e dei giovani nel governo Meloni pareva destinato a fare l’amministratore delegato della Fondazione Milano-Cortina 2026, una fabbrica che lèvati. E adesso che è ministro la sua indipendenza fa un po’ paura a chi governa il calcio. Del resto le sue esternazioni (per niente indulgenti) sullo spalma-tasse e sulle plusvalenze della Juventus confermano questi timori. Chi crede di potergli ricordare di essere stato suo amico, fa male i conti.

Giovanni Malagò, il “super ministro” (per fortuna) senza portafoglio
E chi lo tiene più? Giovanni Malagò si muove come se fosse un super ministro dello Sport senza (purtroppo per lui e per fortuna nostra) portafoglio. Lo stato di salute dello sport italiano (calcio escluso) viene interamente ascritto a suo merito da trombettieri e canottieri. E lui, gasato com’è, si gode l’avvicinamento alle Olimpiadi invernali del 2026. Che sono già un ritardificio a pieno regime, come ai bei giorni dei Mondiali di nuoto romani del 2009. Un marchio e una garanzia. E per carità di patria, non fategli notare che la grande salute dello sport italiano coincide col passaggio sotto l’egida di Sport e Salute. Rischiate di provocargli un colpo apoplettico.
