Sandro Frizziero, giovane autore e insegnante di Chioggia, finalista al premio Campiello 2020 con Sommersione pubblicato da Fazi, ha scritto un romanzo potente, ruvido e respingente. Ed essere arrivato tra i cinque finalisti di un premio letterario che ha proposto spesso opere interessanti e un po’ fuori dal coro, è un bel riconoscimento sia per la storia raccontata che per lo stile con cui l’ha fatto. La quarta di copertina, scritta da Tiziano Scarpa, contiene tutte le parole giuste per entrare in questo romanzo che racconta di un’isola lagunare nel Nord Italia “facendola diventare uno stemma di malumori e malamori universali. Un posto da cui si riescono a vedere le stelle del cielo, sì, ma solo perché «sono i lumini di un cimitero lontano»”. Un’isola molto lontana dal cliché degli scorci Instagram e dal comune immaginario, che aspetta solo di essere sommersa dalle acque destinate ad alzarsi e di portarsi con sé i suoi abitanti, tutti, o quasi, lieti di sguazzare nell’odio e nel giudizio, forti di rancori e di pregiudizi, capaci di spingersi sempre un po’ più in là, non solo con le parole.
I personaggi di Frizziero sono fastidiosi e respingenti, così come lo sono la trama e la scrittura
La storia è semplice. Un microcosmo raccontato nel dettaglio. Un pescatore 80enne che vive di pesca e odio, rimasto solo dopo la morte della moglie che ha picchiato e umiliato tutta la vita e un’unica figlia con cui non ha mai avuto legami e che appena potuto se n’è andata. Vive sommerso dai suoi pensieri e dalle sue miserie, dalle azioni nefande che ha commesso, circondato dagli altri abitanti dell’isola, persone come lui piene di rancore e di parole grosse che volano nella taverna dove affogano le loro vite. L’odio li sommergerà, esattamente lo stesso destino delll’isola. I personaggi sono fastidiosi e respingenti, così come lo è trama. Lo è la scrittura che rispecchia esattamente quel mondo dallo stile crudo e diretto. Viene utilizzata una lingua scurrile, farcita di bestemmie che scorrono libere nei pensieri e nelle parole del protagonista. Si respira odio e frustrazione ad ogni pagina ma il risultato, la bravura di questo giovane autore è la sua capacità di non farci chiudere mai il romanzo, di tenerci incollati alle pagine nonostante lo schifo. Di trascinarci dentro questo odio, insieme ai suoi protagonisti, fino alla fine. Di uscirne disturbati, infastiditi e anche un po’ impauriti. La scelta di un narratore che si rivolge direttamente al protagonista dandogli del tu, permette di creare una sorta di flusso di coscienza scevro da ogni giudizio, ma permette di entrare direttamente nella testa del personaggio. Un narratore esterno, onnisciente, avrebbe pregiudicato il tono del racconto rendendo meno diretta l’esperienza del lettore. E anche in questa scelta, Frizziero ha avuto ragione.

Raccontare l’odio ha permesso a Frizziero di dare spazio all’autenticità
Da una bella intervista fatta all’autore da Rai Cultura, sezione Letteratura, dove si chiede all’autore il perchè di tanto odio, di tanta violenza, Frizziero risponde: «Il racconto del bene e dei cosiddetti “valori positivi”, soprattutto nella sua dimensione pubblica e quindi anche letteraria, mi è sempre parso piuttosto semplicistico, artefatto, impregnato di un sentimentalismo fine a se stesso», mentre il raccontare l’odio gli ha permesso di dare spazio all’autenticità, alla sincerità di questi sentimenti spesso taciuti e nascosti ma capaci di emergere in tutta la loro crudezza. Non è certo il primo che ha fatto questa scelta, di romanzi disturbanti è piena la letteratura, e la banalità del male è stata raccontata molte volte ma stupiscono sempre gli autori che scelgono deliberatamente di non piacere – soprattutto se molto giovani e al loro secondo romanzo – di mettere in difficoltà il lettore e di riuscirci così bene che, nonostante o grazie ai sentimenti che suscitano, rendono i loro romanzi resistenti a un mercato editoriale sempre avido di novità.