Nel 2022, in Somalia, la fame rimane una delle principali cause di morte. Lo sa bene Owliyo Hassan Salaad, una madre che, quest’anno, è stata costretta a dire addio a quattro dei suoi nove figli e, di recente, ha percorso oltre 90 chilometri a piedi per raggiungere una delle strutture di Mogadiscio che si occupano di trattamenti per la malnutrizione. Un viaggio faticoso, alla disperata ricerca di medici in grado di salvare il piccolo Ali Osman, appena 3 anni di vita e già in lotta per la sopravvivenza.
La fame mette in ginocchio la Somalia e i paesi del Corno d’Africa
È da oltre 40 anni che il Corno d’Africa fa i conti con la siccità. Secondo un report curato da Associated Press, quest’anno i centri sanitari specializzati nella cura della denutrizione hanno registrato, soltanto in area somala, almeno 448 decessi. Numeri drammatici che hanno spinto il governo locale (unitamente a quelli di Kenya ed Etiopia) a mobilitarsi per tentare di attenuare le ripercussioni di una carestia che sta mettendo in ginocchio il Paese.

E che pare non risparmiare nessuno: c’è chi muore senza che le autorità lo vengano a sapere, proprio come i bambini di Salaad, tutti con meno di 10 anni. Chi, invece, si spegne in comunità remote o durante il trasporto dai villaggi agli ospedali. O, ancora, chi tenta di fuggire e ricominciare altrove ma, viste le condizioni di salute già irrecuperabili, perde la vita in un campo profughi. «I dati definitivi non sono ancora disponibili ma si parla di migliaia di morti», ha confermato ad AP News Adama Abdelmoula, coordinatore delle iniziative umanitarie dell’ONU per la Somalia.
Perché guerra e pandemia hanno peggiorato la situazione
Se già il quadro generale di partenza era disastroso, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno peggiorato la situazione. L’assistenza umanitaria nel Corno d’Africa, infatti, è stata rallentata dal susseguirsi delle crisi globali che, come nel resto del mondo, hanno avuto (e continuano ad avere) ripercussioni tragiche: i prezzi di prodotti essenziali come grano e olio da cucina stanno aumentando a vista d’occhio, milioni di capi di bestiame che, fino a oggi, hanno fornito alle famiglie latte, carne e sussistenza economica sono morti e persino i superfood utilizzati per le terapie riservate ai soggetti denutriti stanno diventando dispendiosi e, ancora peggio, sempre meno disponibili sul mercato.

Neppure le condizioni meteorologiche sembrano collaborare: a detta dagli esperti, infatti, per la prima volta nella storia, la stagione delle piogge potrebbe saltare per la quinta volta consecutiva. «Si rischia seriamente un’esplosione di decessi infantili se il mondo si focalizza soltanto sul conflitto in Ucraina e non agisce immediatamente per fermare questa deriva», ha tuonato l’Unicef.

Neppure Mogadiscio è immune
Oggi in Somalia la fame rappresenta una minaccia anche per la Capitale Mogadiscio, dove il centro di cura è affollato da pazienti che arrivano a qualsiasi ora del giorno e della notte e sono costretti a dormire sul pavimento in assenza di posti letto disponibili. A riempire i corridoi sono soprattutto madri che, impegnate a calmare i piccoli durante le visite, guardano con dolore a quei corpi smunti per trovare un appiglio che faccia sperare nella guarigione.

«Siamo al completo», ha confermato il dottor Mustaf Yusuf che, tra aprile e maggio, ha visto più di 30 pazienti morire e le degenze raddoppiare fino a sfiorare la soglia delle 122. Cifre confermate da Action Against Hunger, non profit che, lavorando in Somalia dal 1992, ha dichiarato di non aver mai assistito prima a una situazione del genere, segnata da un aumento del 55 per cento di bambini malnutriti rispetto al 2021 e una curva dei ricoveri in costante crescita.
Somalia alle prese con la tempesta perfetta
Le informazioni a disposizione sono ancora incomplete, il che rende impossibile fare un bilancio dettagliato delle vittime su cui modellare una strategia efficace. «Per esperienza sappiamo che il tasso di mortalità tende a crescere quando si allineano una serie di elementi tra cui sfollamento, epidemie e malnutrizione», ha spiegato Biram Ndiaye, capo del settore nutrizione di Unicef, «in Somalia si sta verificando proprio tutto questo». Gli studi effettuati tra dicembre e maggio dalla Food Security and Nutrition Analysis Unit delle Nazioni Unite hanno attestato «un rapido e importante peggioramento in un range temporale breve».

Ad allarmare esperti e volontari sono, sicuramente, la regione di Bay, nel sud, dove le vittime tra gli adulti sono triplicate, quelle tra i bambini duplicate e il tasso di denutrizione è alle stelle, e la zona centrale, dove il Famine Early Warning Systems Network ha riscontrato un 40 per cento in più di casi tra i minori di cinque anni rispetto a quanto registrato nello stesso periodo dell’anno scorso. Uno scenario che, al di là di guerre e virus, è ulteriormente complicato dalla presenza di altri due fattori da non sottovalutare: da un lato il gruppo terrorista di al-Shabab che, controllando buona parte del sud e del centro della Somalia, fa da barriera agli aiuti dall’esterno. Dall’altro, lo scarso contributo della comunità internazionale che, davanti a 200 mila persone in pericolo, ha stanziato solo un risicato 18 per cento dei finanziamenti.
Non solo Somalia
Ovviamente, la Somalia non è l’unica realtà in difficoltà. Nelle regioni dell’Etiopia che combattono con la siccità, infatti, il numero di bambini finiti in ospedale perché arrivati al limite ha raggiunto il 27 per cento nella prima metà del 2022, mentre in Kenya ha superato la soglia del 70 per cento, nonostante gli interventi capillari di organizzazioni come Medici Senza Frontiere. E sono sempre di più anche le famiglie che, in preda alla disperazione, abbandonano tutto per trovare posto nei campi profughi nelle periferie. «Cerchiamo di assisterli con quel che abbiamo, offrendo acqua e piccole scorte di pane», ha precisato Nadifa Hussein, una volontaria, «il problema è che sono così tanti che ci viene impossibile salvarli tutti. E gli aiuti che arrivano sono sempre più scarsi. A questo punto, purtroppo, soltanto Dio può salvarli».