Smart working, i buoni pasto sono dovuti? Il rebus che frena la PA
La questione si basa sul principio di fondo che il buono pasto faccia riferimento alle ore lavorate.
Lo smart working può essere un problemaper i buoni pasto se il dipendente è della Pubblica Amministrazione. Circa 2 milioni di smart workers nel privato si sono organizzati con un contratto con il datore di lavoro. Per il settore pubblico, invece, la strada è tutta in salita. Infatti, il personale resterà con le regole messe in vigore durante la pandemia fino al 31 agosto 2022. Dal primo settembre, però, non si sa cosa fare, nonostante la presentazione dei piani integrati di attività e organizzazione.
Smart working e buoni pasto, qual è la problematica per la Pubblica Amministrazione
«La questione è molto semplice: con la pandemia, e i lockdown, siamo stati costretti a uno smart working “casareccio”, non c’erano regole, e quindi ogni amministrazione con i buoni pasto ha fatto come riteneva meglio, alcune lo hanno pagato e altre no. Poi abbiamo rinnovato i contratti con i sindacati stabilendo che esistono due modalità per il lavoro da remoto. La prima è lo smart working vero e proprio: non c’è obbligo di orario, si lavora per obiettivi, non possono essere previsti gli istituti come i buoni pasto e lo straordinario, legati al trascorrere delle ore» spiega il presidente dell’Aran Antonio Naddeo. L’ente si occupa dei contratti per la Pubblica Amministrazione.

«Siccome poi durante le trattative gli stessi sindacati hanno sostenuto che non tutte le amministrazioni sono così attrezzate a far lavorare i dipendenti per obiettivi, abbiamo previsto il lavoro da remoto con modalità identiche a quelle in ufficio, salvo che per il luogo. In questo secondo caso buoni pasto e straordinari sono erogabili, però la legge richiede i controlli: alle amministrazioni che hanno sollevato difficoltà abbiamo suggerito l’adozione di piattaforme, ognuno può scegliere il sistema che preferisce. Tutto ci aspettavamo, salvo che venisse fuori la richiesta di una “terza” soluzione, legalmente impossibile: quella del lavoro agile senza controlli e senza orario, ma che includa i buoni pasto» ha concluso Naddeo.
L’opinione dei sindacati
I sindacati avrebbero pensato quindi a un’autocertificazione per dimostrare le ore lavorate in un primo periodo. L’obiettivo finale resta per tutti mantenere lo smart working – con o senza buoni pasto – nella Pubblica Amministrazione anche dopo la pandemia. «Nell’immediato si potrebbe pensare a una fase transitoria, in cui i dipendenti che lavorano da remoto presentano un’autocertificazione con la quale garantiscono il rispetto dell’orario di lavoro, soluzione ponte, valida fino a quando le amministrazioni si saranno dotate della strumentazione necessaria per effettuare i controlli a distanza (anche se il telelavoro nella Pa esiste dal 2000, e quindi è da allora che avrebbero dovuto dotarsi degli strumenti di controllo). In questo modo, visto che si tratta di una soluzione provvisoria, si dovrebbero evitare i rilievi della Corte dei Conti» spiega Florindo Oliverio, segretario nazionale Fp Cgil.

«Ci auguriamo che l’applicazione dei nuovi contratti non venga limitata dalla scarsa lungimiranza di qualche dirigente, che si preoccupa solo di assicurarsi che i dipendenti lavorino 36 ore a settimana» conclude.