Da un lato, dopo 10 anni tremendi, per la Siria si comincia a intravedere un piccolo spiraglio di futuro. Dall’altro, i soliti problemi rischiano di gettare per l’ennesima volta il Paese nello sconforto. Il 18 ottobre, dopo due anni con pochissimi passi avanti, l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Geir Pedersen, ha annunciato che governo e opposizione hanno concordato per la prima volta di avviare un processo di redazione della nuova costituzione. Non una cosa di poco conto, considerando che il Comitato costituzionale siriano, costituito nel 2019 da 150 membri di governo, opposizione e società civile, non aveva mai raggiunto un’intesa in questo senso. Dei 150 sono in 45, presi in parti uguali dai tre gruppi, a partecipare attivamente ai lavori del Comitato.
.@UN #Syria envoy @GeirOPedersen announces agreement that should allow work to begin “seriously on a process of drafting – not just preparing – a constitutional reform” for the country. Full remarks: https://t.co/K9ybPxyYHi pic.twitter.com/8K5ulh3WQx
— UN Political and Peacebuilding Affairs (@UNDPPA) September 28, 2021
È dunque andato bene il sesto round di colloqui supervisionati dalle Nazioni Unite, dopo che i primi cinque non avevano prodotto nulla di concreto. «Sono lieto di annunciare che abbiamo raggiunto un accordo, non solo sulla preparazione della riforma costituzionale, ma anche sull’inizio della stesura della costituzione», ha detto soddisfatto Pedersen. Non si tratterà però di un processo semplice, né breve (e non potrebbe essere altrimenti): il Comitato si riunirà nuovamente nel 2022, dopo una pausa lunga dai cinque agli otto mesi, per proseguire le trattative. «Il Comitato da solo non potrà risolvere i problemi della Siria, per cui dobbiamo unirci per affrontare seriamente tutti gli altri aspetti della crisi siriana», ha aggiunto il diplomatico Onu. Come il conflitto ancora in corso, che soprattutto nella città nord-occidentale di Idlib continua a fare morti. Lì, l’esercito di Assad sostenuto dalla Russia e le milizie dell’opposizione – fiancheggiate dalla Turchia – hanno violato e continuano a violare il cessate il fuoco raggiunto a marzo 2020. Nella sua provincia, non più tardi del 20 ottobre, l’esercito siriano ha lanciato un violento bombardamento che ha ucciso almeno 13 persone, quasi tutti civili.
Siria, il governo di Assad si prende i fondi destinati agli aiuti umanitari
Secondo una nuova ricerca condotta da tre think tank (Center for Strategic and International Studies, Operations & Policy Center, Center for Operational Analysis and Research), poi, il governo siriano starebbe dirottando nelle proprie casse milioni di dollari di aiuti esteri. La Banca centrale siriana (sottoposta a sanzioni da parte di Regno Unito, Usa e Ue) nel 2020 ha guadagnato 60 milioni di dollari intascando 51 centesimi per ogni dollaro di aiuti umanitari inviati dalle Nazioni Unite. Rendendo l’Onu, di fatto, il più grande finanziatore del regime di Assad. Colpita dalle sanzioni statunitensi e dal crollo del sistema bancario in Libano, Damasco ha le casse vuote e ha dovuto ricorrere a metodi non ortodossi per raccogliere fondi. Togliendoli dalle tasche dei cittadini allo stremo e in condizioni critiche.
Il gioco di Damasco sui cambi
I ricercatori hanno analizzato centinaia di contratti stipulati dalle Nazioni Unite per il rifornimento di beni e servizi per le persone che vivono nelle aree governative della Siria. Aree in cui oltre il 90 per cento della popolazione vive in condizione di povertà da quando la lira siriana è crollata lo scorso anno. Ma come ha fatto Damasco a intascare più della metà dei fondi arrivati nel Paese con altri scopi? Il tasso di cambio ufficiale della Banca centrale siriana è di 2500 lire per ogni dollaro, mentre il tasso al mercato nero è di 3500. Commercianti e consumatori preferiscono utilizzare il secondo, poiché ricevono più lire siriane in valuta estera. L’Onu è però stato costretto dal governo a usare il tasso di cambio ufficiale: il risultato è che metà del denaro in aiuti esteri convertito in lire è andato perso dopo essere stato scambiato al tasso ufficiale più basso. «Questo mostra un modo incredibilmente sistematico di deviare gli aiuti prima ancora che abbiano la possibilità di essere implementati o utilizzati sul campo», ha affermato Natasha Hall, del CSIS, un think tank con sede a Washington che ha contribuito a compilare la ricerca. La notizia è stata riportata dal Guardian. Invasa e occupata dallo Stato islamico, distrutta da una guerra civile iniziata a marzo 2011 sulla scia delle Primavere arabe, la Siria è ancora tra i Paesi più pericolosi al mondo (superata di recente dall’Afghanistan). In 10 anni, nel Paese sono morte oltre 387 mila persone, di cui 118 mila civili, e il conflitto ha causato 13 milioni di sfollati. Quasi un siriano su dieci vive al di sotto della soglia di povertà.