Lo Sri Lanka sta attraversando la peggiore crisi economica della sua storia. Causa pandemia e rincaro delle materie prime, l’isola è ormai priva delle riserve estere necessarie per pagare le importazioni da cui dipende. Da mesi, nel Paese scarseggiano beni di prima necessità e ora è terminato anche il petrolio. A causa della mancanza di carta e inchiostro sono stati persino sospesi gli esami. Blackout quotidiani, inflazione e difficoltà nel rimediare cibo, benzina e medicine hanno spinto la popolazione a scendere in strada. Nel mirino delle proteste sono inevitabilmente finiti i fratelli Rajapaksa che influenzano da tempo i destini della lacrima dell’oceano Indiano. Gotabaya e Mahinda, rispettivamente Presidente e Capo del governo dimissionario, sono gli esponenti di spicco dell’influente famiglia composta da nove fratelli tutti molto potenti. Tra loro spicca il ricco ex ministro delle Finanze Basil Rajapaksa, definito ‘Mister 10 per cento’ dalla Bbc in riferimento alle accuse di corruzione che circolano sul suo conto. La potente famiglia può contare anche su due ex ministri, un capo di gabinetto del premier e partecipazioni in aziende statali strategiche. Capostipite dell’influente clan è Don Alwin, già parlamentare e ministro negli Anni 60, la cui statua è stata abbattuta dai manifestanti in uno slancio d’ira che richiama i fatti di Baghdad 2003.

Mahinda, premier dimissionario sotto accusa
Presidente dello Sri Lanka dal 2005 al 2015 e Primo ministro dal 2019, Mahinda Rajapaksa è considerato dai singalesi buddisti l’artefice della vittoria sui ribelli Tamil, ultimo capitolo della guerra civile che ha insanguinato l’isola per oltre 20 anni. Da tempo sotto accusa per le violenze compiute contro i nemici, Mahinda è sempre riuscito a evitare il giudizio dei magistrati anche grazie all’immunità. Con lui alla guida, lo Sri Lanka si è progressivamente avvicinato alla Cina oggi fonte principale di prestiti e investimenti per l’isola. Tra le opere realizzate col sostegno di Pechino spicca il controverso porto di Hambantota – noto anche come Porto Mahinda Rajapaksa – ceduto in concessione ai cinesi per 99 anni a causa dell’incapacità dell’isola di ripagare i propri debiti. Determinato a rimanere al potere, Mahinda non si è dimesso nemmeno dopo che 26 ministri del suo Governo lo hanno mollato ad aprile. Solo le forti pressioni seguite alla recente esplosione di violenza che ha prodotto almeno 8 vittime e centinaia di feriti, hanno finalmente convinto Mahinda a fare un passo indietro. Decisive sono state le accuse mosse ai suoi sostenitori di aver provocato gli scontri attaccando le opposizioni che hanno risposto assaltando la sua residenza e il museo della famiglia Rajapaksa.

Gotabaya, il presidente militare
Il curriculum dell’attuale presidente Gotabaya Rajapaksa preoccupa gli analisti che temono il colpo di mano militare nell’isola. Gotabaya, infatti, è stato il ministro della Difesa che ha guidato la repressione dei ribelli sul finire della guerra civile. I fatti risalenti al 2009, oltre a regalare a Gotabaya il poco onorevole soprannome di “Terminator”, hanno spinto l’ONU ad avviare un’inchiesta sui crimini commessi e sui 40 mila civili uccisi in poche settimane. Gotabaya è stato anche tra i principali artefici delle scellerate scelte di politica economica che hanno accelerato la crisi. In particolare, il presidente ha approvato il taglio generalizzato delle tasse e il bando dei fertilizzanti chimici, due mosse che hanno contribuito al deterioramento dell’economia. Nonostante le evidenti responsabilità, a oggi Gotabaya non sembra intenzionato a dimettersi e con lui alla guida i Rajapaksa restano centrali per la vita del Paese.

Quale futuro per la lacrima dell’oceano Indiano
Mai come oggi il futuro dell’isola è incerto. Gli scontri e i coprifuoco, sospesi solo per consentire alla popolazione di acquistare beni di prima necessità, aprono scenari preoccupanti. Mentre la censura colpisce i social media, le strade dell’isola vengono occupate dalle forze armate incaricate di far rispettare le restrizioni. Intanto, dopo le dimissioni di Mahinda lo Sri Lanka ha un nuovo premier, il politico di lungo corso Ranil Wickremesingh, che ha il compito di guidare le trattative con il Fondo Monetario. L’isola, infatti, dopo aver annunciato il default sul debito estero, è a caccia di quello che sarebbe il 17esimo prestito del FMI dall’indipendenza a oggi. Alternativa al Fondo, sono nuovi aiuti economici di India e Cina che ancora una volta non arriverebbero a costo zero. Le prospettive non sono quindi rosee per lo Sri Lanka che non gode peraltro, tra guerra in Ucraina e spettro della stagflazione globale, dell’attenzione che meriterebbe.