Non solo i poliziotti robot, che pattugliano le strade e aumentano ancora di più la percezione di trovarsi in un universo distopico: a Singapore, lunedì, è stata approvata una legge limita la libertà dei cittadini. Per prevenire le interferenze straniere in politica interna, infatti, il parlamento ha approvato una norma che permette alle autorità di ottenere dai provider delle piattaforme informazioni private sugli utenti di social e siti, di bloccare determinati post e di rimuovere le applicazioni usate per diffondere contenuti ritenuti “ostili”. Un provvedimento che opposizione e attivisti hanno denunciato come uno strumento per reprimere il dissenso. E non solo, perché i politici locali possono essere contrassegnati come “persone politicamente significative”, quindi soggetti a dover rivelare le proprie fonti di finanziamento estere e passibili di “contromisure” per ridurre il rischio di ingerenze esterne. I trasgressori, in caso di condanna, rischiano multe salate o il carcere.
La stretta di Singapore su social network e siti
Per gli attivisti, è solo l’ultimo atto di una città-Stato in cui le autorità sono spesso accusate di limitare le libertà civili. In un discorso al parlamento, però, il ministro degli Interni Shanmugam ha difeso il provvedimento, sottolineando come Singapore sia vulnerabile a «campagne di informazione ostili» condotte dall’estero. Le opposizioni avevano chiesto modifiche al testo o una nuova discussione in aula, ma la legge è stata approvata con una larga maggioranza (75 favorevoli, 11 contrari e due astenuti). Per Reporter sans frontieres la legge «porta i semi del totalitarismo».
I media indipendenti di Singapore, nell’ultimo periodo, hanno dovuto affrontare una crescente pressione. Il principale sito di notizie, Online Citizen, è stato sospeso il mese scorso per non aver dichiarato le sue fonti di finanziamento, mentre i media mainstream sono per lo più filo-governativi. La legge arriva a due anni dall’introduzione di un’altra norma, volta a combattere la disinformazione online, criticata da attivisti e big tech perché limita la libertà di espressione.