Pillon condannato a pagare 30mila euro: aveva chiamato attivisti Lgbtq «adescatori di minorenni»
L'ex senatore è stato condannato al pagamento dalla Corte d'Appello di Firenze ma promette battaglia: «Non ci fermeremo».
L’ex senatore della Lega e co-fondatore del Family Day, Simone Pillon, è stato condannato da una sentenza della Corte di Appello di Firenze al pagamento di 30mila euro. Si tratta di statuizioni civili relative alla sentenza di primo grado già riconosciuta dal Tribunale di Perugia in merito a una frase rivolta agli attivisti Lgbtq dell’associazione Omphalos. In pubblico, infatti, li aveva additati e definiti «adescatori di minorenni», finendo a processo con l’accusa di diffamazione. Oggi la sentenza e la decisione sul risarcimento, mentre dal punto di vista penale il reato risulta prescritto.

Pillon non si ferma: «Opporsi alla dittatura del pensiero unico costa caro»
Simone Pillon ha già scritto che non si fermerà e proseguirà la battaglia legale a oltranza. «La Corte fiorentina», dichiara, «ha deciso inspiegabilmente di ignorare le nuove allegazioni istruttorie depositate dai miei difensori, nelle quali uno dei fondatori del movimento Lgbt Perugino confermava esplicitamente e nei dettagli più delicati la mia versione dei fatti. Approfondiremo anche questo aspetto, nelle sedi più opportune. Opporsi alla dittatura del pensiero unico costa caro, ma non ci fermeremo. Sono soddisfatto per il proscioglimento in sede penale ma intendo ricorrere nuovamente contro le statuizioni civili per Cassazione e alla Corte Europea se sarà necessario».

Pillon insiste: «Al servizio della verità»
In un lungo post su Facebook, Pillon poi conclude: «Non possiamo permettere che l’educazione dei nostri figli minorenni sia fatta dalle organizzazioni gay, senza che i genitori siano neppure informati – aggiunge oggi dopo la sentenza Pillon -. Porto volentieri questo carico non certo facile, pensando a quelle mamme e a quei papà che non hanno gli strumenti culturali o economici per far fronte alla tracotanza delle ideologie. Non ci fermeranno. Avanti, umilmente al servizio della verità». Tutta la vicenda è nata a Perugia, quando nel 2014 l’ex senatore si è rivolto agli attivisti definendoli «adescatori di minorenni» dopo un confronto in un liceo sul tema dei diritti Lgbtq+.