Una storia italiana. Così titolava l’opuscolo illustrato, distribuito in milioni di copie a tutte le famiglie del Paese alla vigilia delle elezioni politiche del 2001. Con intento agiografico ed elettorale, celebrava le doti umane e imprenditoriali di Silvio Berlusconi, il geniale e appassionato uomo d’affari che ha costruito un impero immobiliare, guidato al trionfo una società calcistica, sbaragliato il monopolio Rai edificando un autentico colosso mediatico, fondato al grido di “libertà” un partito nuovo e subito vincente, infondendo ottimismo e incondizionata fiducia in molti italiani. Da allora decine e decine di libri, film, articoli e dibattiti televisivi hanno fatto da coro alle gesta del Cavaliere.

Le ombre: Cosa nostra, tangenti e leggi ad personam
Gianni Barbacetto placa il fragore che circonda ogni atto della storia umana, imprenditoriale e politica di Berlusconi, e una dopo l’altra ripercorre ordinatamente, accanto alle vicende note, quelle sconosciute, dimenticate, sottovalutate, e talvolta oscure, che lo hanno visto protagonista. L’origine dei suoi primi milioni. I presunti rapporti con gli uomini di Cosa nostra. Le vere ragioni della sua “discesa in campo”. L’episodio della tangente che, se fosse stata scoperta nel 1993 dai magistrati di Mani pulite, avrebbe probabilmente cambiato corso al suo destino e a quello del Paese. Tutte le leggi ad personam e gli stratagemmi che gli hanno permesso di uscire (quasi) indenne dai processi. La televisione, quella di Beautiful e del Drive In, la ricchezza esibita e il culto dell’eterna giovinezza, del potere e del successo a ogni costo. Ripercorrere la storia di Berlusconi significa anche raccontare l’evoluzione del costume italiano degli ultimi cinquant’anni. E dotarsi di qualche strumento in più per riconoscere il berlusconismo che alberga più o meno latente in molti di noi.
Tag43.it pubblica un estratto del libro di Gianni Barbacetto Una storia italiana, edito da Chiarelettere.

Messo a segno il primo colpo, con la nascita dei Cantieri Riuniti Milanesi, Berlusconi non si ferma più. Si mette in proprio e tra il 1964 e il 1969 costruisce un intero quartiere residenziale a Brugherio, nell’hinterland milanese. Tra il 1969 e il 1979 edifica Milano 2, una ≪citta satellite≫ nel comune di Segrate. Pubblicizza gli appartamenti in vendita con lo slogan ≪Il silenzio non ha prezzo≫, che considerando le sue amicizie siciliane poi farà sorridere, o inquietare. Tra il 1979 e il 1990 realizza, a Basiglio, Milano 3, costruisce a Lacchiarella il grande centro commerciale Il Girasole e progetta il villaggio residenziale Costa Turchese, a sud di Olbia, in Sardegna. E ormai un immobiliarista di successo, un grande costruttore.
È bravo? Bravissimo. Ottiene in pochi anni risultati straordinari. Alla base del suo successo ci sono due capacità: quella di ottenere rapidamente i permessi pubblici per poter costruire e quella di trovare i soldi per finanziare i suoi progetti. […] Per realizzare Milano 2, il 29 settembre 1968 (giorno del suo trentaduesimo compleanno) Silvio Berlusconi fonda una seconda Edilnord, la società Edilnord Centri Residenziali Sas di Lidia Borsani e C. Ma, anche questa volta, Berlusconi non compare.
Chi è Lidia Borsani? È una giovane cugina di Silvio che diventa socia accomandataria; accomandante, cioè vera proprietaria, anche in questo caso e una finanziaria svizzera, l’Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzzentren Ag di Lugano, che fornisce il capitale ed e sempre rappresentata dall’avvocato Rezzonico.
È a capitale svizzero anche la società di costruzioni Italcantieri Srl, fondata nel 1973 da due fiduciarie ticinesi, la Cofigen Sa (rappresentata da un giovane praticante notaio dietro cui c’è il finanziere svizzero Tito Tettamanti) e la Eti Ag Holding (rappresentata da una casalinga di nome Elda Brovelli). La Italcantieri viene comprata da Berlusconi in due tranche, nel luglio del 1975 e nel novembre del 1976. Suo amministratore unico e Luigi Foscale, padre di Giancarlo Foscale e zio di Berlusconi.

Dobbiamo avere pazienza, se vogliamo capire la girandola di società e di prestanome che caratterizza la scalata imprenditoriale di Berlusconi. Una terza Edilnord Sas nasce nel 1970. Silvio non si vede, sulle carte appare come socia accomandataria non più la cuginetta Lidia Borsani, ma la zia Maria Bossi. Poi nasce la quarta Edilnord, nel dicembre del 1977, ma questa volta i parenti sono sostituiti, nel ruolo di socio accomandatario, da un professionista, Umberto Previti, commercialista calabrese con studio a Roma, padre dell’avvocato e futuro ministro Cesare. Questa Edilnord sara liquidata dopo tre sole settimane di vita, il 1° gennaio 1978.
Intanto però, a Roma e non a Milano, era nata la Finanziaria d’Investimento Srl, cioè la Fininvest, destinata a diventare la capogruppo delle ormai numerose società di Berlusconi. Nasce il 21 marzo 1975, data alla luce da due fiduciarie della Banca nazionale del lavoro, Servizio Italia (90 per cento) e Saf (10 per cento), entrambe operanti su mandato del cugino di Berlusconi, Giancarlo Foscale. Qualche mese dopo, a novembre, la Fininvest Srl si trasforma in Fininvest Spa e trasferisce la sede sociale da Roma a Milano. Foscale compare come amministratore unico, mentre del collegio sindacale fanno parte Umberto Previti, suo figlio Cesare e Giovanni Angela, un funzionario della Banca nazionale del lavoro.
La Fininvest nasce per riorganizzare e razionalizzare il gran guazzabuglio delle aziende di Berlusconi. E la holding di controllo da cui dipendono tutte le società operative. La riorganizzazione dura alcuni anni, dal 1975 al 1979, ed e il periodo più complesso e difficile da decifrare della complicata storia finanziaria di Berlusconi. In questo lasso di tempo la società capogruppo (la Fininvest) si fa in tre, rimbalzando tra Roma e Milano.

La seconda Fininvest (Fininvest Roma Srl) nasce l’8 giugno 1978, fondata anch’essa dalle fiduciarie della Bnl Servizio Italia e Saf, ma questa volta con quote del 50 per cento ciascuna. Amministratore unico e Umberto Previti. Un anno dopo, il 7 maggio 1979, la Fininvest Roma Srl si fonde con la Fininvest Spa milanese e la incorpora. Il 28 giugno, cambia nome (torna a chiamarsi Fininvest Srl) e sede (torna a Milano). E – magia – compare finalmente Silvio Berlusconi, come presidente di un consiglio d’amministrazione formato dal fratello Paolo e dal cugino Giancarlo Foscale.
Per undici anni (dalla nascita della seconda Edilnord nel 1968 fino alla terza Fininvest del 1979) Berlusconi si era servito di una schiera di parenti, teste di legno, in un gioco opaco e complicatissimo di società con capitali di provenienza ignota, di cui si sa soltanto che arrivano dalla Svizzera (o meglio: la Svizzera e l’ultimo passaggio di un percorso di cui, a ritroso, si perdono le tracce). A partire dal 1979, invece, gli amministratori reali della Fininvest sono finalmente visibili e Berlusconi mostra il suo volto alla guida dell’azienda. Ma l’opacità si trasferisce a monte: sopra la Fininvest compaiono ventitré società (ma diventeranno trentotto per poi ridursi a ventidue e infine a venti) chiamate Holding Italiana Prima, Seconda, Terza, Quarta, Quinta e così via, che controllano la Fininvest, la quale a sua volta controlla le società operative.
Perché costruire un’architettura societaria cosi complicata e bizantina? Risposta certa non c’è. Di sicuro si sa che in questi anni nelle casse di Berlusconi entrano moltissimi soldi. Il capitale sociale della Fininvest lievita fino a 52 miliardi di lire. […] Le holding, a dispetto del nome altisonante, sono semplici società a responsabilità limitata: così, come ormai sappiamo, gli aumenti di capitale si possono fare in casa, senza intrusi che vogliano guardare le carte, senza i vagli delle autorità di vigilanza. […]
La storia delle holding è un rebus. Anche perché alla domanda su chi controllasse la Fininvest, Berlusconi ha dato nel tempo risposte diverse. Nei primi anni Novanta ha dichiarato al garante dell’editoria di controllarne il 50,3 per cento, lasciando dunque aperta la possibilità che il restante 49,7 fosse attribuibile ad altri misteriosi soci. In seguito ha dichiarato invece che l’intera Fininvest fosse sua e della sua famiglia. Non ha però mai spiegato in maniera del tutto convincente il perché di una struttura societaria tanto arzigogolata, che sembra fatta apposta per far perdere le tracce dei passaggi di denaro.

Accanto alle holding (che nel tempo sono state, in tutto, trentotto), operavano anche cinque società denominate Holdifin, più una Holding Elite. Insomma: Berlusconi controllava il suo impero attraverso una struttura societaria complicatissima, una ≪costruzione gotico-castrense≫, come la chiama Giuseppe Fiori nella sua biografia dell’imprenditore, Il venditore, pubblicata nel 1995.
Perché? Per pagare meno tasse, hanno spiegato a Paolo Madron (nel libro del 1994 Le gesta del Cavaliere, subito introvabile) due manager come Franco Tatò e Salvatore Sciascia, che hanno conosciuto dall’interno l’impresa di Berlusconi. Ma la moltiplicazione delle Srl chiamate Holding serve anche, come abbiamo visto, per poter fare operazioni finanziarie e aumenti di capitale senza che il ministero del Tesoro e la Banca d’Italia si mettano a curiosare nelle faccende del gruppo, perché il capitale reale è disseminato (a seconda delle epoche) in ventidue, ventitré, trentotto o venti piccole quote.
Tra il 1978 e il 1985 nelle holding entrano 93,93 miliardi di lire (oggi sarebbero oltre 340 milioni di euro). Da dove arrivano? Non si sa, perché i passaggi di denaro avvengono in contanti, oppure ≪franco valuta≫ (cioè senza lasciare tracce nei libri contabili). Ne sono protagonisti alcuni personaggi come Enrico Porra, un invalido di settantacinque anni colpito da ictus, che risulta titolare della società Ponte e di altre sei o sette società, tra cui la Palina Srl, fondata il 19 ottobre 1979 da lui e da Adriana Maranelli, una colf emiliana. Altri prestanome. Come Riccardo Maltempo, un meccanico che lavorava in un’officina ma risultava il gestore di tre fiduciarie. Porra, quando c’erano documenti da firmare, andava dal notaio su una carrozzella spinta dai consulenti di Berlusconi.