Berlusconi, quando i fedelissimi abbandonano il Cav
Si sa, Berlusconi è esperto di divorzi e addii. Anche politici. I più recenti sono quelli di Gelmini, Brunetta e Carfagna. Ma come dimenticare gli strappi di Vito, Toti e del delfino Alfano? Nulla comunque in confronto a quello del poeta Bondi.
Uno specialista in divorzi. Politici si intende, perché la vita privata resta tale. O almeno dovrebbe, visto che, a volte, è difficile tracciare una linea di demarcazione, come è avvenuto ai tempi di Francesca Pascale, all’epoca damigella d’Arcore, e pugnace suggeritrice della linea politica, aperturista in materia di diritti Lgbt. Adesso c’è Marta Fascina, deputata uscente, che alla Camera non è stata un esempio di partecipazione ai lavori. Ma che vanta una discreta influenza, come si nota dalla partecipazione ai vertici.
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L’addio di Elio Vito
Silvio Berlusconi, in quasi 30 anni di carriera politica, ha vissuto parecchie separazioni dolorose. Storie d’amore, politiche, inossidabili che si sono infrante in malo modo. Di recente, per esempio, è assurto alla ribalta Elio Vito, un tempo volto televisivo del berlusconismo, strenuo difensore del leader di Forza Italia contro qualsiasi critica. Un simbolo instancabile della fedeltà al Cav che alla fine, in stile Forrest Gump, si è sentito un po’ stanchino rispetto a cotanta fatica. E ha salutato la comitiva, accomiatandosi addirittura dal ruolo di deputato con tanto di dimissioni.

Lo strappo dei ministri Gelmini, Brunetta e Carfagna
Le rotture recenti si sono poi susseguite in poche ore, causa eccessiva vicinanza alla Lega. Da Mariastella Gelmini, ex punta di diamante forzista, a Renato Brunetta, al fianco del leader fin dalla fine degli Anni 90, quando mise piede nell’Europarlamento, diventando braccio e mente economica del berlusconismo, talvolta in asse e tante altre in dissenso con Giulio Tremonti. E in ultimo ecco pure l’addio di Mara Carfagna, una delle predilette, che è stata difesa a spada tratta negli anni e promossa a incarichi sempre più rilevanti.

Quando le azzurre dicono basta
Nella galleria delle donne che hanno voltato le spalle a Berlusconi c’è la neoleghista Laura Ravetto, che come tanti altri aveva manifestato davanti al tribunale di Milano nei giorni del caso-Ruby. Forse lo strappo griffato Ravetto è sbiadito di fronte a quello di Maria Rosaria Rossi, definita dalla stampa – in senso dispregiativo – la «badante» per il ruolo acquisito negli anni al fianco di Silvio. È stata anche tesoriera del partito, gestendo così il forziere prima di lasciare nel 2016. Il suo punto di forza era il sodalizio stretto con Pascale, all’epoca padrona di casa. E Rossi dettava legge, attirandosi inimicizie di ogni tipo. Con il passare del tempo è diventata sempre più marginale, fino alla rottura con la fiducia votata al Senato addirittura al Conte bis. Un gesto impensabile, appena tre-quattro anni prima. Così come era rintracciabile alla voce “fantapolitica” il saluto di Micaela Biancofiore, che ha preferito il lido – nemmeno tanto stabile – di Coraggio Italia. E oggi scaglia frecce infuocate nei confronti del suo vecchio leader. «Berlusconi ha sbagliato tutto», ha affermato dopo la caduta del governo Draghi.

Il destino di Angelino Alfano
Chi ha preso da tempo ormai le distanze era Giovanni Toti, già giornalista Mediaset, aspirante leader di Forza Italia e aspirante delfino, scaricato proprio per le sue eccessive ambizioni. Denis Verdini, invece, non ha mai puntato a detenere lo scettro azzurro, semplicemente ha preferito trasformarsi nella stampella del governo di Matteo Renzi nella scorsa legislatura. Prendendo le distanze dall’amico Silvio per cui era stato un prezioso stratega nelle Istituzioni. Ma questi sono i tempi più recenti, divorzi maturati durante il declino dell’impero, politico, berlusconiano. Negli anni del potere più fulgente di Berlusconi, un altro pretoriano storico di Berlusconi era il compianto Paolo Bonaiuti, morto nel 2019: nel ruolo di portavoce ha sempre diffuso le tesi del leader. Il volto gentile del populismo forzista. Almeno fino al 2014 quando preferì seguire Angelino Alfano, il delfino «senza quid» che pure era stato fedele scudiero di Berlusconi, in un binomio che appariva indivisibile. E che invece terminò di fronte alla scelta di Alfano di continuare a sostenere il governo Letta dopo la votazione sulla decadenza da senatore del fondatore degli azzurri. Uno sgarbo imperdonabile, che infatti mai è stato perdonato, spendendo l’Angelino nell’inferno dell’oblio.

Pure Sandro Bondi alla fine gettò la spugna
Ma la fine della love story politica più travolgente è arrivata sull’onda di rime poetiche, quelle vergate da Sandro Bondi, un tempo rivolte all’adorato capo. Era l’equivalente, in Parlamento, di Emilio Fede in tv. Salvo che, nel 2015, l’ecumenico Bondi ha subito la folgorazione sulla via del verdinismo, nel senso di Denis. Fino ad ammettere che probabilmente poteva essere paragonato a Giuda. Anche se, come disse in un’intervista a La Repubblica, «chi ha letto il recente e bellissimo libro di Amos Oz, sa che Giuda è stato forse quello che ha preso più sul serio Gesù di Nazareth». Finanche nella separazione intravedeva in Silvio una figura divina.
