Start Up deliranti, fortune selvagge, fricchettonismo estremo, disuguaglianza sociale ai massimi livelli. Il tutto mischiato a mitologia e leggenda. Questi sono gli ingredienti principali che servono per raccontare un “non luogo” come la Silicon Valley, banalmente il posto dove sono nate molti degli oggetti che negli ultimi anni ci hanno letteralmente cambiato la vita. Basti pensare all’iPhone, a Google, Facebook (pronto a cambiare il nome in Meta) Twitter, Amazon, Airbnb e compagnia bella. Non ci sono cartelli stradali o insegne che indicano dove finisce e dove inizia. Ciò significa che da una prospettiva puramente geografica, la Silicon Valley non esiste.
Dal mito di Steve Jobs alla quotidianità della Silicon Valley
Ultimamente se n’è occupata in Italia molto bene Adelphi, pubblicando, a breve distanza l’uno dall’altro, due titoli particolarmente significativi, che restituiscono una fotografia abbastanza fedele e attuale di quel mondo. Un libro di scritti e reportage intitolato Steve Jobs non abita più qui, del giornalista del Foglio Michele Masneri e il super discusso memoir della columnist del New Yorker Anna Wiener, sulla sua personale esperienza lavorativa nel mondo del tech a San Francisco, intitolato La valle oscura. A questi si aggiunge, oggi, un formidabile volume fotografico edito da Rizzoli New York del fotografo americano-iraniano Ramak Fazel: Silicon Valley No_Code Life, dove sono raccolte le immagini scattate, in puro stile gonzo journalism, da questo antropologo con la Rolliflex al collo. Lavoro nato da un’idea di Diego Della Valle, all’interno di No_Code, progetto targato Tod’s che si interroga sui cambiamenti della società attraverso la tecnologia, in seguito a una semplice domanda che l’imprenditore marchigiano pose all’allora giornalista Michele Lupi, oggi Men’s Collections Visionary del gruppo, durante una cena in un hotel del centro a Milano: «Come vivono davvero quelli che abitano nella Silicon Valley? Chi sono, dove mangiano, che posti frequentano, quali automobili guidano? Visto che i colossi della tecnologia sanno tutto di noi, perché non cerchiamo di scoprire noi qualcosa di più su di loro?».

Aspiranti milionari in roulotte e patiti dell’analogico
Il libro, con 128 immagini scattate alla fine del 2019, esattamente poche settimane prima che la pandemia cambiasse il mondo, è una straordinaria raccolta che spazia da ritratti a cavallo di uomini che sembrano cowboy e invece sono i direttori creativi della Apple, da ragazze ultratatuate che posano in un ristorante cheap davanti a una birra con alle spalle, protetto da una teca lucchettata, il primo computer Apple 1 o da fotografie che ritraggono la fila di roulotte come in un camping della riviera romagnola abitate magari da ingegneri con il badge di Google alla cintura che guadagnano 200 mila dollari l’anno ma ciò nonostante non possono permettersi di avere una casa né di metter su famiglia per i prezzi folli dettati dall’assurdo mercato immobiliare. Una testimonianza preziosa di un luogo, che forse oggi grazie al Covid sta cambiando, che ci farà scoprire tic e nevrosi di una società popolata da brufolosi startuppari aspiranti billion fissati con il microdosing creativo di LSD, con lo yoga o con l’alimentazione bio, venerata e perseguita come una religione, che sfogano nella propria passione per l’analogico, l’ennesima contraddizione del mondo che hanno scelto di abitare.