La Sierra Leone è finita al centro delle polemiche di attivisti e pescatori locali per la firma di un accordo clamoroso con la Cina. Per 55 milioni di dollari, la nazione guidata da Xi Jinping metterà in piedi un porto di pesca industriale su cento ettari di spiaggia e foresta pluviale protetta. Decisione che gli ambientalisti hanno etichettato come «catastrofe e disastro naturale».
Paradiso naturale per antilopi, sardine e barracuda
Secondo quanto riportato dal Guardian, la struttura sorgerà sulle spiagge di Black Johnson, al confine con il Western Area Peninsula National Park. La riserva naturale africana ospita da anni specie protette come i pangolini e l’antilope duiker. Ma non solo: nella zona, le acque sono particolarmente ricche di sardine, barracuda e cernie, animali che coprono più del 70% delle produzioni ittiche destinate al mercato interno.

Dopo una serie di rumor circolati sui social, la conferma ufficiale è arrivata dal ministero della Pesca sierraleonese. Questo, in un comunicato, ha spiegato per filo e per segno la natura del progetto: non un polo industriale per la produzione di mangimi animali (a partire dalla farina di pesce preparata con gli scarti), ma uno stabilimento portuale «per il tonno e le grandi navi da pesca coinvolte nella rete delle esportazioni internazionali». Un’idea che, paradossalmente, vorrebbe strizzare l’occhio all’ambiente, prevedendo «lo smaltimento di spazzatura e scarti marini attraverso la conversione in prodotti riutilizzabili».
Gli ambientalisti contro il Governo
La risposta degli ambientalisti non ha tardato ad arrivare. E non ha avuto gli stessi toni ottimistici. Due gruppi, l’Institute for Legal Research and Advocacy for Justice e il Namati Sierra Leone hanno chiesto al governo la possibilità di visionare l’accordo e, soprattutto, gli studi in merito all’impatto socio-ambientale del progetto. «La nota girata alla stampa era parecchio vaga», ha spiegato Basita Michael, avvocato dell’ILRAJ, «Ci ha lasciato con vari dubbi, continuiamo a chiederci come siamo arrivati qui. Per quale motivo siamo stati informati solo ora. Abbiamo il diritto di sapere».
‘Catastrophic’: Sierra Leone sells rainforest for Chinese fish plant https://t.co/ozJrqEeEzJ
— Mr. Lynch (@MrLynchGeog) May 17, 2021
Altrettanto amareggiato anche James Tonner, proprietario di un terreno a Black Johnson, che ha rivolto direttamente al presidente Julius Maada Bio le sue rimostranze. Nella lettera, ha chiesto di intervenire per fermare la costruzione e prevenire quello che potrebbe trasformarsi in un «tremendo disastro per il paese e per il pianeta». Il porto potrebbe portare alla distruzione di foreste antichissime e inquinerebbe gli ecosistemi e le aree di riproduzione della fauna marina.
Il crowdfunding per salvare il parco
Ma Tonner non si è fermato alla corrispondenza. Ha deciso di aprire un crowdfunding per ottenere una revisione giudiziaria, lamentando oltre ai danni ambientali anche il poco fair play del governo, che avrebbe offerto ai proprietari terrieri del posto una compensazione del 30% in meno rispetto al valore di mercato. «Secondo la legge, possono sequestrare la terra per interesse pubblico», ha spiegato. «Nel caso, però, la clausola non pare sussistere. Perché anche se si tratta di un porto di acque profonde, non sarebbe il sito adatto per metterlo su. Distruggerebbe tutto il pesce di cui si nutre la popolazione locale, di cui vivono i pescatori».
Una richiesta che, a oggi, sembra ancora inascoltata. Almeno a giudicare dalle parole di Emma Kowa Jallow, ministro della Pesca: «Si sta facendo una polemica inutile. I cittadini devono fidarsi di noi, avere pazienza. Vogliamo svilupparci, crescere, guardare al futuro, diventare una nazione avanzata. Per puntare all’evoluzione, bisognerà pur sacrificare qualcosa».