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Come la letteratura ha raccontato e previsto la siccità

Da Il re della pioggia di Saul Bellow a Furore di Steinbeck, passando per i Malavoglia. Quando la letteratura affronta il tema della grande sete.

25 Giugno 2022 17:4725 Giugno 2022 17:49 Antonio Carnevale
Come la letteratura ha raccontato e previsto la grande siccità 1

Se siamo arrivati a questo punto, con la siccità che minaccia la desertificazione, non è soltanto perché siamo sordi agli appelli degli scienziati, è anche perché non ascoltiamo gli scrittori. Siamo come l’americano Eugene Henderson, il protagonista de Il re della pioggia di Saul Bellow, brave persone, piene di buone intenzioni, certo, ma «con quella voce in cuore che insiste voglio, voglio, voglio», e non ci fa vedere a un palmo dal nostro naso. L’inquieto uomo di mezz’età Henderson se n’era andato in Africa per cercare quelle risposte che l’Occidente non sa dare. Aveva bisogno di perdersi per ritrovarsi. A metà del viaggio capita in un rito propiziatorio per chiedere agli spiriti la pioggia. Gli sembra tutt’al più esotico, ma per vanità vuole essere primo attore. Poi succede che l’acqua scroscia davvero dal cielo e la tribù esulta al prodigio, vuole farlo re: il re della pioggia. Ma Henderson è preso soltanto se stesso, dai suoi “voglio, voglio”,  nemmeno sa pesare l’importanza di quelle gocce salvifiche sulla terra secca. Oggi siamo tutti come lui. Abbiamo voluto, voluto, voluto; abbiamo rivendicato il diritto a esercitare solo il nostro volere, abbiamo messo l’uomo al centro e la natura fuori scena. Adesso abbiamo i fiumi senz’acqua e la terra secca pure noi. Se non piove sono guai seri. E nessun re della pioggia verrà a salvarci.

Come la letteratura ha raccontato e previsto la grande siccità 1
Il re della pioggia di Saul Bellow.

I romanzi della sete, tra storia e distopia

Quando il terreno non dà frutti, succede che le banche espropriano le fattorie dei contadini, li costringono a mettersi in viaggio per cercar fortuna. È successo ai primi migranti climatici della letteratura, quelli raccontati da John Steinbeck (altro premio Nobel, come Saul Bellow) in Furore. Ma erano gli Anni 30, il clima che allora si affidava al cielo è adesso nelle mani dell’uomo. Basterebbe un dato nell’ultimo rapporto dell’Onu: tra meno di 30 anni, se non cambiamo i nostri comportamenti, tre quarti del pianeta farà i conti con la desertificazione. Ma il punto di non ritorno è fissato anche prima, al 2035. È lo stesso anno nel quale è ambientato The Source, il podcast di climate-fiction al quale si sono ispirati 12 scrittori emergenti per l’omonima raccolta di racconti uscita lo scorso maggio per l’editore Dea Planeta. Sul tema della siccità si era cimentata anche Alessandra Montrucchio con E poi la sete, un noir distopico uscito per Marsilio nel 2010, un bel romanzo che aveva un solo difetto, ambientava la catastrofe climatica nel 2088, data troppo ottimistica visti gli studi più recenti. Già oggi, solo per l’Italia e per la stagione in corso, i danni per l’agricoltura sono stimati da Coldiretti attorno a due miliardi di euro. Negli ultimi 20 anni la siccità nel mondo è aumentata del 29 per cento (sempre dati Onu). Tradotto in vite umane significa che sul pianeta ci sono già 2,3 miliardi di persone senza acqua.

Come la letteratura ha raccontato e previsto la grande siccità 1
Il ponte della Becca sul Po (Getty Images).

Pagine segnate da stagioni aride e punizioni divine

Sembra di essere in certi romanzi segnati dal terribile ricordo di stagioni aride, come Il marchese di Roccaverdina di Luigi Capuana, dove «la lunga siccità aveva reso duri come il ferro i terreni, e i vomeri ordinari non riuscivano a spezzarli per preparare i maggesi». Ne I Vicerè di Federico De Roberto la siccità era punizione divina. Ne I Malavoglia di Giovanni Verga, «Padron Cipolla lo sapeva lui perché non pioveva più come prima. Perché hanno messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via». In un dialogo da complottisti del 5G, Compare Zuppiddo proponeva allora di «tagliarli tutti quei pali del telegrafo, e buttarli nel fuoco!», perché «dentro il filo ci era un certo succo», che «si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lontano». Se ci fosse da ridere potremmo chiudere con quel manifesto disegnato negli Anni 30 da Fortunato Depero per un famoso liquore, con l’omino stilizzato che abbassa l’ombrello, volge il viso al cielo, spalanca la bocca e si gode la pioggia sotto lo slogan “Ah! Se piovesse Campari!”. Invece non c’è più da scherzare. Se adesso non piove è colpa della nostra impronta, come ha ribadito un nuovo studio del Met Office, il servizio meteorologico nazionale del Regno Unito, pubblicato dagli scienziati Peter Stott e Nikos Christidis sulla rivista scientifica Journal of Climate lo scorso 18 maggio. A noi, qui, boccheggianti, non resta che augurarci di poter tirare il sospiro di sollievo del vecchio Siròli, il contadino della novella Alla zappa! di Pirandello. Nel cuore della notte si volgeva alla moglie dicendo: «Domani, se Dio vuole, romperemo la terra». Dopo tanta siccità, beato lui, sentiva scrosciare la pioggia.

LEGGI ANCHE: Distopie e profezie, quando la letteratura racconta il futuro

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