Dopo le innumerevoli denunce per plagio da parte di piccoli e grandi brand e le accuse di greenwashing da parte degli attivisti che, da anni, cercano di accendere i riflettori su quanto poco sostenibili siano i metodi e i ritmi di produzione di Shein, la società cinese è nuovamente finita al centro delle polemiche per una serie di insoliti bigliettini ritrovati dai clienti nelle etichette dei capi acquistati. Messaggi che, a detta di alcuni, non sarebbero altro che disperate richieste d’aiuto da parte di lavoratori e lavoratrici, da tempo sospettati di essere sfruttati e pagati con retribuzioni misere.
Il mistero dei messaggi nascosti sulle etichette dei capi di Shein
Le speculazioni, venute a galla qualche mese fa, sono nate su TikTok, a partire da un breve video, divenuto presto virale, in cui un utente aveva raccolto diverse immagini degli strani messaggi cuciti o direttamente scritti sulle targhette di gonne, pantaloni e t-shirt. «Aiuto», «SOS», «Ho un forte mal di denti», sono solo alcuni degli esempi mostrati nella clip, di cui rimane ancora oggi ignoto il mittente. Eppure, sebbene nessuno sappia se siano stati effettivamente inviati dai dipendenti, il video ha raccolto oltre 40 milioni di visualizzazioni sull’app e incoraggiato gli internauti a controllare meticolosamente i vestiti ordinati sull’e-commerce.
@nohroe15 They need help. #stopfastfashion #boycott #fypシ #fyp
Al momento, tuttavia, oltre al post che ha messo in allerta i fan del marchio, non sono arrivate segnalazioni esplicite, se non qualche fotografia di una comune etichetta che però, insieme alle solite raccomandazioni per il lavaggio, presentava una strana frase: «need your help», ‘abbiamo bisogno del tuo aiuto’, che ha fatto pensare a una sorta di segnalazione in codice. Supposizione che, secondo i giornalisti di Snopes, non avrebbe né capo né coda: nessun segnale di fumo, si tratterebbe solo di una frase tradotta in maniera errata dal cinese all’inglese.

La controversa relazione tra l’azienda e il mondo del lavoro
Dal 2008, anno della sua fondazione, a oggi, il rapporto tra il mondo del lavoro e la compagnia di Guangzhou da 100 miliardi di dollari, diventata famosa per il catalogo pressoché infinito di indumenti a basso prezzo, non è mai stato pacifico. Dopo essere stata accusata di sfruttamento e lavoro minorile, a luglio 2021 Reuters ha denunciato il fatto che Shein non avesse reso pubblici i protocolli applicati nella filiera, nonostante nel Regno Unito sia obbligatorio per legge. A novembre dello stesso anno, una non profit svizzera ha scoperto che un gruppo di operai, prevalentemente migranti, copriva turni di 75 ore a settimana. Fino ad arrivare a quest’ultima bufera, a cui l’azienda ha risposto con una secca smentita.
Y’all think this Shein thing is just a game. People are being actively harmed by that company every single day. It’s not some resource for the poor built on kindness and accessibility; it’s a beacon of exploitation. And those who are trying to do the right thing are tired.
— Lakyn thee Stylist (@OgLakyn) June 14, 2022
La posizione di Shein nello scandalo dei presunti biglietti in codice
A inizio giugno, infatti, il colosso del fast fashion ha spento complotti e cospirazioni attraverso un video su TikTok, spiegando come quelle etichette, in realtà, arrivassero da pezzi prodotti da altre aziende. In particolare, quella che recitava «Aiutami per favore», scritta a mano su un cartoncino, sarebbe stata ritrovata in un pacco ricevuto da una donna filippina nel 2015. Mentre, un altro biglietto simile, con scritto «Aiutami», sarebbe stato scaricato direttamente da un sito di fotografie di repertorio. Così come quell’«abbiamo bisogno di aiuto» che faceva capolino nel vademecum di regole da seguire per non rovinare il capo in lavatrice era un invito a non alterare la stoffa usando il giusto ammorbidente, soprattutto al primo lavaggio.
@shein_official Recently, several videos were posted on TikTok that contain misleading and false information about SHEIN. We want to make it very clear that we take supply chain matters seriously. Our strict Code of Conduct prohibits suppliers from using child or forced labor and we do not tolerate non-compliance.
«Siamo coscienti che la scelta delle parole sia stata poco accertata e questo abbia creato malintesi con le etichette», ha spiegato un portavoce all’Independent, «ecco perché quei filmati diffusi sul web contengono un mucchio di fake news e di bufale sul nostro conto. È bene chiarirlo a gran voce: per noi, tutto quello che riguarda la regolarità della produzione è di vitale importanza. Abbiamo un codice di condotta severissimo e ci teniamo ad applicarlo senza alcuna deroga, proibendo ai fornitori di adoperare minorenni e costringere gli impiegati ai lavori forzati. Due requisiti essenziali, rispetto a cui non tolleriamo alcun tipo di trasgressione».