Una scalata rapida e per certi versi misteriosa. Agevolata dall’endorsement spassionato della Generazione Z. Che, tra TikTok e Instagram, ha pubblicizzato in modo intensivo la piattaforma di moda virtuale. Anche così il brand cinese Shein è diventato uno dei competitor più pericolosi per i colossi dell’e-commerce e del fast fashion. La compagnia, infatti, negli ultimi mesi è balzata agli onori della cronaca per aver superato Amazon nella classifica delle app con più download negli Stati Uniti. Fondata nel 2008 col nome di ZZKKO dal giovane imprenditore cinese Chris Xu, Shein, originariamente, si occupava di abiti da sposa. Dopo qualche anno, ha poi virato sull’abbigliamento da donna, cambiando nome in Sheinside. Nel 2015 l’ennesimo rebranding, accompagnato da serie di operazioni logistiche e finanziarie per incrementare la propria presenza sul web, tentando di farsi spazio in un settore in cui la concorrenza è serrata.
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Il Covid tra i motivi del clamoroso exploit
L’exploit clamoroso, però, è da attribuirsi in larga parte alla pandemia. Lo stop allo shopping fisico e la possibilità di poter dedicare intere giornate a quello online hanno fatto sì che Shein ottenesse visibilità internazionale, al punto da diventare la più grande piattaforma online specializzata esclusivamente nella vendita di abiti e accessori. A confermarlo, i dati di Euromonitor International. Dietro il successo, anche la capacità di attirare clienti con capi di tendenza e prezzi molto più bassi della media. Soltanto nel primo semestre del 2021, l’app di Shein ha totalizzato più di 81 milioni di download nel mondo e il suo valore sul mercato, secondo Bloomberg, pare essere arrivato a 30 miliardi di dollari (raddoppiando quello dello scorso anno). Nel 2020, ha guadagnato oltre 10 miliardi di dollari (un salto di qualità netto rispetto ai 4.5 miliardi del 2019).
Shein, un successo misterioso
Ad alimentare il successo di Shein, probabilmente, è anche l’aura di mistero che aleggia attorno al suo business. L’azienda dichiara di avere tre sedi nel mondo (una a Nanjing, una negli Stati Uniti e l’ultima in Europa) ma la produzione è unicamente basata in Cina. Dalla creazione del prototipo al commercio degli articoli, tutto è basato su una strategia di marketing studiata per un pubblico tra i 16 e i 24 anni. Non servono grosse campagne pubblicitarie né testimonial famosi, bastano le pubblicità sponsorizzate e le offerte che riempiono i feed e le home page dei principali social network. Oltre, ovviamente, a un catalogo che strizza l’occhio a tutte le fisicità e a tutti i gusti. Nelle varie sezioni Donna, Uomo, Bambino, Curvy e Bellezza, è possibile trovare occhiali da sole a 5 euro, borse in paglia a 10 euro, vestiti a 14 e t-shirt a 8. Anche spedizione e reso, vera e propria rogna dello shopping digitale, su Shein sembrano immediati e vantaggiosi. La prima è gratuita per ordini superiori ai 19 euro, il secondo è indolore se fatto entro 45 giorni dall’acquisto. E se tutto ciò non bastasse, ecco raccolte punti, coupon e ricompense in grado di sbloccare ulteriori sconti sulla merce.
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Dai trend sui social le ispirazioni per abiti e borse
Un algoritmo, inoltre, prevede i consumi degli utenti studiando abitudini, like e post su Facebook o su Instagram rispetto al continuo rinnovarsi dei trend. Dai risultati ottenuti si parte per disegnare orecchini, borse, camicie e pantaloni che quasi sicuramente incontreranno i gusti di aficionados e non. Quest’affiliazione con il mondo social è uno dei valori aggiunti che hanno permesso a Shein di conquistare in breve il pubblico più giovane. «Il grande merito di Shein è, senza dubbio, quello di aver avviato una rivoluzione», ha spiegato a Cnn Business Erin Schmidt, senior analyst di Coresight Research, istituto che si occupa di studiare il rapporto tra distribuzione e tecnologia, «Hanno cambiato le carte in tavola, innovato i modelli precedenti e stravolto le regole del gioco». Pur mantenendo sempre un profilo basso, i metodi che il brand ha utilizzato per fidelizzare i consumatori non sono affatto casuali. Buona parte dei suoi utili arriva dall’influencer marketing: da un lato, le star di Internet che, con dirette e video su Youtube, pubblicizzano compere smisurate; dall’altro, nomi come Katy Perry, Ellie Goulding e Nick Jonas, coinvolti in eventi e festival chiaramente adoperati per allargare il proprio bacino anche oltre il virtuale. «I vertici di Shein puntano molto sul coinvolgimento totale dello user», ha sottolineato Matthew Brennan, fondatore dell’istituto di ricerca China Channel, «Mescolano l’intrattenimento e gli affari, creando una dimensione in cui lo shopping diventa il punto d’arrivo di un percorso fatto di molto altro».
Shein, una produzione da 500 pezzi al giorno
Con 500 pezzi al giorno – Bohoo ne rilascia lo stesso quantitativo in una settimana – e tempi di lavorazione quasi supersonici, Shein sembra non aver mai perso il ritmo. Grazie, soprattutto, al lavoro in tandem di settore produttivo e software, in grado di garantire in tempo reale un prospetto dettagliato dei click e degli ordini. «Tutto procede in forma sincronica. In base a quello che va di moda, ai capi più cercati, a cosa vende di più, l’algoritmo crea uno schema e lo trasmette istantaneamente alla fabbrica. Che si procura i materiali e avvia il processo creativo», ha aggiunto Schmidt. In tutta questa tecnologia, tuttavia, rimane irrisolto uno dei grossi problemi della moda low cost: la sostenibilità.
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Nel caso di Shein, ancora più urgente visti i prezzi contenuti che, automaticamente, innescano un effetto domino che spinge la gente a comprare più del solito e, di conseguenza, a incrementare i processi di produzione (e l’inquinamento che ne deriva). Un’ombra che sembra aggiungersi anche all’ambiguità che, nonostante la diffusione su scala mondiale, continua a pesare sul marchio. Su Internet le indicazioni sulla storia sono praticamente nulle, stesso discorso per l’organizzazione e i nomi di chi sta dietro al progetto. Per alcuni, si tratterebbe di una strategia studiata per evitare controversie politiche coi 220 mercati con cui mantiene relazioni. Per altri, quest’assenza di trasparenza (che riguarda anche le fonti da cui provengono le stoffe e gli stipendi dei lavoratori) inizia a risultare sospetta e scomoda. Aggiungendosi alle controversie scatenate da diverse griffe che hanno accusato Shein di plagiare molti dei loro modelli, proponendone copie quasi esatte e spacciandone l’idea per propria.
Campione di esportazioni in America, Europa, Australia, Medio Oriente, India, l’unico spazio in cui non riesce davvero a trovare riscontro è proprio la madrepatria, la Cina. Probabilmente per l’eccessiva competizione col leader dell’industria, Alibaba. «Per loro, vendere in casa non è affatto proficuo», ha concluso Schmidt, «E tutti quegli indumenti che a noi sembrano convenienti, per i cinesi non lo sono affatto».