Tra le vittime del naufragio avvenuto a Cutro l’1 marzo scorso, c’è Shahida Raza, capitano della squadra di hockey pakistana. «Grazie a Dio siamo quasi arrivati», così aveva annunciato ai familiari in una telefonata qualche ora prima che l’imbarcazione sulla quale stava viaggiando non andasse in mille pezzi.
L’ultima telefonata di Shahida Raza prima del naufragio di Cutro
L’ultima chiamata è stata con la sorella Saadia, che alla Bbc ha confermato come Shahida abbia interrotto la comunicazione poco prima della tragedia di Cutro. La sorella ha raccontato che la giocatrice di hockey aveva chiamato un’ultima volta quando era ancora a bordo del caicco Summer Love, partito quattro giorni prima dalla Turchia, dicendo che stava per arrivare in Italia. «L’unico motivo per cui ha fatto questo viaggio era suo figlio di tre anni», ha aggiunto. Il piccolo, 40 giorni dopo essere nato, è stato colpito da un ictus a causa di una febbre alta e ora ha bisogno di continue cure perché gli ha danneggiato il cervello, lasciandogli una parte del corpo paralizzata.

La madre aveva tentato di farlo visitare e curare in diversi ospedali di Karachi, ma i medici non hanno potuto farlo, suggerendole quindi di portare il figlio all’estero nella speranza di trovare cure migliori. Prima di imbarcarsi a bordo della Summer Love, infatti, si era confidata con Saadia dicendole: «Non posso vedere mio figlio così, voglio che cammini come ogni altro bambino, questo è il mio unico desiderio».

Chi era Shahida Raza
Shahida Raza aveva 27 anni. Soprannominata Chintu, era la capitana della squadra di hockey pakistana. Era partita da Quetta, una città del Pakistan, e giocava per contribuire al sostentamento della sua famiglia: per ogni vittoria potevano arrivare dai 17 a 100 dollari. Oltre a voler trovare delle cure per la malattia del figlio, essendo lei appartenente alla comunità hazara sciita era scappata dal proprio paese perché negli ultimi anni la sua etnia era stata oggetto di attacchi e attentati.