Settimana corta: vantaggi e svantaggi di lavorare quattro giorni
Da una parte aumentano il tempo da dedicare agli hobby e la produttività, dall'altro crescono ansia e isolamento. I pro e i contro della settimana corta.
Da quando la pandemia ha rivoluzionato i modi di approcciarsi al lavoro, il discorso sulla settimana corta è ritornato in ballo. Di recente, anche il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha ribadito la necessità di introdurre la misura in maniera intelligente e ragionata per migliorare le performance dei professionisti impiegati nei vari settori della macchina produttiva del Paese.
Luci e ombre della settimana lavorativa ridotta
Proposta come una panacea al burnout, la riduzione dei giorni lavorativi da cinque a quattro, negli anni, è stata adottata in via sperimentale da diverse aziende e governi e i risultati di questi test hanno messo in luce una serie di importanti benefit, come una gestione più equa ed equilibrata del rapporto tra lavoro e vita privata, un miglioramento generale della salute psicofisica e un incremento della produttività del dipendente. Tuttavia, assieme alla lunga serie di vantaggi che garantisce, l’eliminazione di una giornata dalla routine lavorativa può portare con sé anche qualche svantaggio. Su tutti, il fatto che un giorno in meno in ufficio non corrisponda a meno cose da fare. Così, alle prese con una nuova tabella di marcia, i lavoratori sono costretti a fare i conti con lo stesso carico di lavoro di sempre, situazione che determina un prolungamento delle ore da dedicare a questo o a quel compito e procedure decisamente più farraginose da gestire. Ma non è tutto. Spesso, la scelta di adottare la settimana corta arriva a influenzare negativamente anche i rapporti coi colleghi. Soprattutto quando, non incontrando il favore dei datori di lavoro, lascia spazio a un clima di incomunicabilità che, a lungo andare, può rivelarsi deleterio.

Settimana corta, una battaglia che parte da lontano
Il dibattito sul provvedimento non è una novità. Già nel 1926, infatti, la Ford Motor Company standardizzò il modello, passando da sei a cinque giorni, col sabato e la domenica liberi. «La teoria di Henry Ford era semplice: partiva, infatti, dalla convinzione che, spalmando il lavoro su cinque giorni, con la stessa paga, i dipendenti si sarebbero impegnati ancora di più», ha spiegato alla Cnn Jim Harter, ricercatore della società di analisi e consulenza Gallup. Effettivamente, quella teoria si è dimostrata corretta: negli anni, infatti, la visione dell’imprenditore è diventata una prassi comune. A partire dal 1950, tuttavia, furono diversi i reclami dei sindacati che chiedevano un’ulteriore riduzione a quattro giorni. «I dipendenti hanno iniziato a insistere, sostenendo che tagliando ancor di più si sarebbero ottenuti risultati migliori», ha aggiunto Harter. Quelle richieste sono rimaste inascoltate e, a oggi, negli Stati Uniti, su 10 mila impiegati a tempo pieno, soltanto il 5 per cento fa una professione che consente di beneficiare della settimana ridotta.
Gli effetti della pandemia sul lavoro
L’avvento del Covid-19 e le ripercussioni che ha avuto sul mondo del lavoro hanno fatto sì che i governanti riprendessero le fila di quella riflessione. Numerose società hanno così deciso di dare una chance all’idea. «L’emergenza sanitaria ha evidenziato come l’organizzazione del lavoro sia molto più flessibile e plastica di quel che si crede», ha precisato Alex Soojung-Kim Pang, direttore dell’organizzazione 4 Day Week Global, che si batte per l’ottenimento della settimana corta. Non si tratta, in ogni caso, di una transizione da maneggiare alla leggera perché il semplice taglio di una giornata, con una riduzione del monte ore e lo stesso stipendio di sempre può trasformarsi in cinque turni concentrati in quattro e molte più incombenze da gestire. Scenario che non porterebbe altro che frustrazione.

Tra esperienze positive e scenari negativi
Nei casi in cui lo schema pilota della settimana corta è diventato fisso, i lavoratori hanno toccato con mano i pro e i contro del sistema. «Dopo anni, posso finalmente dedicare il venerdì pomeriggio ai miei hobby, gioco a tennis e faccio lunghe chiacchierate», ha dichiarato Andy Illingworth, designer dell’agenzia Punch Creative di Leeds, «in più, ho tempo di elaborare nuove idee e portare in ufficio spunti da cui partire lunedì mattina. Non ritornerei mai indietro». Chiaramente, tutto quello che ha conquistato ha avuto un costo: «Sono operativo dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio con mezz’ora di pausa pranzo», ha spiegato, «abbiamo dovuto rinunciare a una parte del break ma non mi pesa. Quello che ho recuperato in termini di mood vale molto di più».
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Non tutti, però, ne escono così bene: una ricerca di Gallup ha dimostrato come la riduzione causi spesso un’alienazione dal contesto professionale, soprattutto per chi si sente già poco integrato, e l’insorgere di un’ansia latente che esplode al primo tentennamento davanti a una mole di lavoro apparentemente ingestibile in periodo di tempo limitato. Infine, l’eccessivo focus sulle mansioni individuali può determinare la scomparsa della collaborazione: «Gli uffici rischiano di diventare città fantasma e verrebbe a mancare l’adrenalina del lavoro di squadra», ha specificato Pang.
Puntare tutto su programmazione e flessibilità
Quale, dunque, il compromesso migliore per non scontentare nessuno ed evitare conseguenze insanabili? Lavorare su una programmazione attenta e accurata che renda il lavoro piacevole, senza ridurlo a un fardello di cui liberarsi nel minor tempo possibile. E, talvolta, scendere a patti con la consapevolezza che non esiste un modello univoco di settimana lavorativa per chiunque: «Non si può imporre un solo e unico paradigma su un intero organico, dalla segretaria al CEO», ha concluso Harter, «in compenso, però, si può venire incontro a tutti con uno schema flessibile, che guarda al profitto e alla performance ma non trascura il benessere individuale».