Manifestazioni a sostegno di Mosca, tricolori russi sventolati in piazza. Belgrado è stata l’unica capitale europea in cui i cittadini hanno mostrato sostegno aperto alla guerra ingaggiata da Putin in Ucraina. Per questo dagli analisti la Serbia è considerata una sorta di cavallo di Troia. Una porta attraverso cui trasferire il germe dell’instabilità ancora più vicino al cuore dell’Europa, in mezzo al Mediterraneo. Ma la polvere brucia sotto tutti i Balcani.
La Serbia candidata a entrare nell’Ue che acquista armi da Mosca e Pechino
Belgrado da tempo è candidata a entrare nell’Ue, una posizione che ultimamente si è fatta precaria. Specie da quando, lo scorso 25 febbraio, all’assemblea delle Nazioni Unite, si è astenuta dal condannare l’invasione. Nel Paese, intanto, prosegue la militarizzazione decisa dal presidente Aleksandar Vucic. Le armi sono acquistate prevalentemente dalla Russia, ma anche dalla Cina, come testimoniano gli aerei Y-20 e i sofisticati missili HQ-22 consegnati di recente da Pechino. Servono a rafforzare l’esercito o vengono cedute all’estero, tra gli altri in Myanmar. Contestualmente, il capo di Stato, secondo il think thank Gis Reports, avrebbe ordinato ai soldati di tenersi pronti e mobilitato i riservisti del Kosovo. Insomma, tra Mosca e Belgrado la linea da mesi è piuttosto calda. Lo dimostra su tutti il caso del ministro dell’Interno Aleksandar Vulin. Sarebbe stato lui a informare il Cremlino del contenuto degli incontri serbi tra i leader dell’opposizione putiniana, da cui a giugno è derivato l’arresto di Andrei Pivovarov, l’ex direttore dell’organizzazione non governativa Open Russia. Per Vucic, d’altronde, l’85 per cento della popolazione sosterrebbe le politiche di Mosca. Un atteggiamento che spiega perché il 3 aprile sia stato confermato alla guida del Paese con il 60 per cento delle preferenze. Ma anche sul fronte economico la dipendenza è forte, con la metà dell’industria petrolifera gestita dai giganti russi.

In Bosnia Erzegovina preoccupa la posizione della Republika Srpska
In Bosnia Erzegovina, dove i serbi sono oltre un milione – costituiscono un terzo della popolazione totale e la maggioranza nella Republika Srpska – il loro rappresentante Milorad Dodik ha posto il veto a eventuali sanzioni a Mosca, costringendo il Paese a dichiararsi ufficialmente neutrale. Per molti sarebbe il passo d’esordio di un progetto più ampio, finalizzato un domani a ottenere l’indipendenza da Sarajevo e beneficiare della protezione russa. Il modello sarebbero repubbliche separatiste ucraine di Donetsk e Luhansk. Per prevenirlo, l’Ue ha serrato le fila della missione Eufor, inviando altri 500 soldati.
Il Montenegro, paradiso degli oligarchi russi che guarda a Occidente
Ma nella penisola, storico coacervo di etnie e religioni, ovviamente c’è anche chi guarda a Occidente, fotografando un quadro altamente frammentato e per questo altrettanto esplosivo. Il Montenegro è membro della Nato, candidato a entrare nell’Ue, ma l’appoggio alla causa atlantista costa. La principale voce dell’economia è il turismo, a lungo alimentato dagli oligarchi del Cremlino. La possibilità di entrare nel Paese senza visti particolari e di sfruttare leggi in materia fiscale abbastanza blande ha permesso ai paperoni di trasferire grossi capitali e speculare fortemente sugli investimenti immobiliari. C’è poi la questione dei passaporti d’oro: per ottenerli basta versare nel paese 450 mila dollari. Il presidente Milo Dukanovic vorrebbe esplicitamente condannare l’invasione russa, ma incontra l’opposizione feroce dei partiti pro Belgrado e della Chiesa ortodossa serba, il cui legame con Mosca ha radici antiche e nel tempo si è rivelato strumento chiave per diffondere nei Balcani valori e principi della Federazione. Veicolati anche attraverso l’ampia diffusione di Sputnik, oggi con Russia Today bandito in Kosovo e Macedonia del Nord, perché conclamato strumento di propaganda filo-Cremlino. Che comunque attecchisce, almeno stando a sentire il presidente macedone Stevo Pendarovski, preoccupato per il crescente sostegno alla causa russa di una parte cospicua della popolazione.

Kosovo, la complicata procedura per entrare nell’Ue e nella Nato
Più netta la condanna di Kosovo e Albania, la cui adesione alle sanzioni non è mai stata in discussione. Come il sostegno al mantenimento dell’integrità territoriale ucraina. Qui le proteste sono state di altro tenore, organizzate dai cittadini davanti alle ambasciate russe. Eppure sul vento delle spaccature Mosca continuerà a soffiare, sfruttando le numerose comunità russofone e di religione slavo ortodossa. Proverà così ad allontanare i Paesi dalla galassia occidentale e a risvegliare il sentimento antisistema delle minoranze. Per impedirlo servirà lo sforzo condiviso di Ue e Nato, a cui il ministro della Difesa del Kosovo, Rrustem Berisha, ha di recente chiesto di installare sul territorio una base militare permanente, primo passo per un’eventuale adesione all’alleanza atlantica. Un percorso possibile nonostante il piccolo Stato non faccia attualmente parte dell’Onu, a patto di contribuire alla sicurezza dei Paesi vicini e aderire ai principi del trattato Nord Atlantico del 1949. Qualora ciò si concretizzasse, la Nato potrebbe rafforzare la presenza in una zona delicata e dall’altra parte garantire l’integrità al Kosovo, in virtù della clausola di mutua difesa sancita dall’articolo 5. A sostegno di Pristina si sono schierate, tra le altre Turchia, Croazia e Stati Uniti. Il Paese, inoltre, dopo la sospensione della Russia dal Consiglio d’Europa, ha presentato formale richiesta di adesione all’istituzione, e spera di diventare nel medio periodo un membro dell’Unione europea. Nel mirino insomma c’è un posto nell’Occidente.

Perché i Balcani potrebbero rappresentare il prossimo obiettivo della Russia
Argomento che naturalmente non piace a Putin. Per Ivana Strander dell’American Enterprise Institute i Balcani rappresenterebbero «la naturale e prossima estensione del conflitto, attraverso lo strumento della guerra ibrida o per procura». Un allarme lanciato già l’anno scorso, quando avvertiva della pericolosità della presenza russa nella zona. Preoccupazioni rilanciate il 4 marzo dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, per il quale dopo l’Ucraina nel mirino di Putin ci sarebbero Georgia e Bosnia-Erzegovina. Un elenco di Paesi da tenere d’occhio, a cui l’Alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell ha aggiunto la Moldavia. Il timore, spiega il primo ministro del Kosovo Albin Kurti è l’innesco di incidenti con il pretesto di proteggere la minoranza serba delle regioni. «I Balcani occidentali sono ancora più in pericolo dei Paesi baltici e della Moldova, perché lì la Russia ha stanziato parte della sua forza militare», ha detto. Con riferimento specifico al Kosovo l’obiettivo potrebbe essere l’introduzione di un modello simile alla repubblica Srpska, attraverso lo strumento della Zajednica, associazione di comuni serbi definita incostituzionale da Pristina. Tensioni a cui Bruxelles dovrà guardare rapidamente, anche a costo di venire meno a quanto sancito nel vertice di Versailles dell’11 e 12 marzo, in cui non è stato programmato alcun allargamento. Ma neppure un’accelerazione sulle procedure di adesione in esame.