Un’intervista dalle rivelazioni che lasciano senza parole: Vanity Fair ha incontrato Sara Ventura, ex tennista, conduttrice, personal trainer. La sorella di Simona Ventura, ha raccontato i tragici accadimenti degli anni in cui praticava sport a livello agonistico. In quel periodo divideva la sua camera d’albergo nelle trasferte con il suo allenatore: «Dovevo stare attenta che di notte andasse tutto bene. Ho subito abusi di ogni tipo, ho imparato a dormire con la racchetta vicino».

Sara Ventura e il racconto delle molestie
La Ventura, vincitrice di ben 15 titoli italiani, racconta la difficoltà a confessare ciò che le stava accadendo, a causa del clima di silenzio e omertà che circondava l’ambiente: «Ho subito abusi di ogni tipo. Anche sessuali, diverse volte. Avevo 13 anni. […] Mi dicevano: eh sì, funziona così, ci siamo passate anche noi. Ho imparato a dormire con la racchetta vicino». Le umiliazioni non mancavano nemmeno durante le partite: «Il giorno dopo uno dei tentativi di incursioni notturne, io giocavo una partita dei campionati europei. Stavo vincendo 5 a 2 e mi sono permessa di tirare forte la prima palla di servizio: era un rischio ma ero consapevole che, se avessi sbagliato, avrei potuto contare sulla seconda. Purtroppo sbaglio. L’allenatore si alza in piedi e mi urla: Testa di ca**o, ti mando a casa a calci in cu*o. Detto fatto: quella partita poi l’ho vinta, ma lui non mi ha permesso di giocare per tutto il resto della settimana».
«Non avevo i mezzi per ribellarmi»
L’ex atleta racconta perché non ha mai potuto parlarne prima: «Mio padre era un uomo freddo, introverso, non avevamo grandi rapporti, e mia madre è mancata che avevo 12 anni: poco dopo mi hanno chiamato, insieme alle tenniste più promettenti d’Italia, per vivere, studiare e allenarmi in un collegio vicino a Roma. Ho accettato subito e sono andata via di casa. Ero sola. E non avevo neanche i mezzi economici per ribellarmi a quel sistema di ingiustizie e abusi. Se parlavi, se uscivi dalla federazione, la tua carriera era finita. Tutti sapevano, nessuno diceva una parola. Le ragazze più fortunate, quelle con una famiglia alle spalle, a volte venivano prese e portate via. Io potevo contare solo su me stessa».