Guerra in Ucraina, com’è cambiata in una settimana l’economia mondiale
In una settimana la guerra in Ucraina ha ribaltato l'economia mondiale. Gli istituti russi non possono più commerciare in dollari e sono stati esclusi dal sistema Swift. Le compagnie petrolifere fuggono, mentre decollano i prezzi di frumento e gas. Lo scenario.
La guerra in Ucraina ha scatenato la reazione compatta dell’Occidente. Tradotta in sanzioni economiche che stanno mettendo a dura prova la Russia, la risposta in una settimana ha provocato un terremoto nell’economia mondiale. E altri provvedimenti potrebbero essere presto varati per impedire a Mosca di «calmierare e aggirare tramite sistemi come le criptovalute, gli attuali effetti delle sanzioni», ha spiegato il vicepresidente della Commissione europea Vladis Dombrovkis. Lo shock comunque è stato forte e ha travolto tutto il Pianeta. Sono decollati i prezzi di gas e petrolio che ha raggiunto i 115 dollari al barile, il massimo da 30 anni a questa parte, oltre a quello del grano. Mentre il rublo oggi vale appena 0,0089 dollari, davanti agli sportelli aumentano le file per i prelievi e la borsa di Mosca è chiusa da cinque giorni. Non succedeva dal 1917.
Le ripercussioni delle sanzioni sui business di petrolio e gas
Nello specifico, secondo la Banca mondiale, l’economia russa vale complessivamente 1,5 trilioni ed è l’11esima su scala globale. Appena sette giorni fa esportava milioni di barili di greggio al giorno, comprati in buona parte dall’Occidente, in una simbiosi particolarmente stretta di rapporti. Che ora sono precipitati. Così le multinazionali chiudono le filiali e organizzano la fuga dal Paese. Mosca, dal canto suo, fatica a organizzare spedizioni e trovare acquirenti stranieri, preoccupati di dover scontare eventuali ricadute delle sanzioni. Le navi cisterna, inoltre, non attraversano il mar Nero, teatro di feroci scontri. Il costo del gas naturale, contestualmente, già mercoledì era oltre il doppio rispetto al venerdì precedente. Se la guerra dovesse protrarsi la Russia potrebbe decidere, in segno di rappresaglia per le sanzioni, di chiudere i rubinetti, come d’altronde ha parzialmente fatto con la Germania.

Per arginare gli effetti di un simile terremoto i colossi dell’energia stanno provando ad affrancarsi, esplorando nuovi mercati e cercando fonti diverse da cui attingere. La ExxonMobil è intenzionata ad abbandonare il progetto Sakhalin-1, precedentemente definito «uno dei più grandi investimenti diretti internazionali in Russia». Qualora avvenisse sarebbe l’addio all’attività nel Paese dopo 25 anni. Lo stesso faranno BP, Shell e la norvegese Equinor, con inevitabili contraccolpi miliardari per il business. È già andata via, invece, la francese TotalEnergies.
Russia e Ucraina insieme producono il 14 per cento del grano mondiale
Non se la passa meglio il settore alimentare. Russia e Ucraina, insieme, producono il 14 per cento del grano mondiale e coprono il 29 per cento delle esportazioni. Costi maggiori per i produttori significano ripercussioni inevitabili sul commercio e la vendita al dettaglio. Discorso identico per l’olio di palma, con grossi quantitativi che rimangono bloccati nei porti ucraini in attesa di essere sbloccati.

Le esclusioni dei colossi russi dal mercato finanziario mondiale
Intanto le azioni dei colossi russi vengono escluse dagli indici globali e l’attività di alcuni di essi è stata interrotta a New York come a Londra. La risposta all’invasione è stata, insomma, senza precedenti guidata da Usa, Regno Unito, Unione europea, Canada, Giappone e Australia. Persino la Svizzera, famosa per la storica neutralità e la segretezza del sistema bancario, si è unita al lotto. Le due maggiori banche di Mosca, Sberbank e VTB, non possono più negoziare in dollari oltre a essere state escluse dal sistema SWIFT, che consente le transazioni internazionali in modo rapido e sicuro. In totale, ha detto il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire varrebbero circa 1 trilione gli asset russi congelati dalle sanzioni. Per Oliver Allen, intervistato dalla Cnn, sarebbe «il preambolo della definitiva rottura dei legami finanziari ed economici della Russia col resto del mondo». Ulteriore conferma è data dal fatto che al di là degli Urali hanno già abbassato le saracinesche case automobilistiche e big-tech, mentre le compagnie aree hanno sospeso tutte le operazioni. Anche i sistemi Visa e Mastercard non possono essere più utilizzati nel Paese.
Le sanzioni russe e lo spettro dell’inflazione
Il tutto in un contesto di per sé difficile. Come ha spiegato Oxford Economics, l’inflazione negli ultimi tre mesi del 2021 ha toccato il 7 per cento nell’Eurozona, il 10 nel Regno Unito, mentre la Russia potrebbe accusare un calo della produzione nel 2023 di sette punti percentuali, se confrontato a quanto sarebbe accaduto senza la guerra. Complessivamente la crescita mondiale si ridurrà dell’1,1 per cento. Non esattamente uno scherzo.