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Sant’Ambrogio e la prima della Scala: i miei ricordi e quelli di mio padre

La prima première di mio padre alla Scala è stata nel 1946, appena arrivato in Italia. Aveva 20 anni e quando Toscanini fece il suo ingresso in scena la folla scattatò in un’ovazione interminabile. A me resta l’immagine in tv di Allegra al Piermarini. E dire che quella sera avevamo un appuntamento. Il racconto della settimana.

10 Dicembre 2022 10:00 Andrea Frateff-Gianni
Sant'Ambrogio e la prima della Scala: i miei ricordi e quelli di mio padre

7 dicembre 1960 – Kiril. Il giorno di Sant’Ambrogio ha tutta l’aria di rivelare quest’anno che certi riti milanesi rinvigoriscono invece di estinguersi. La nebbia non è mai stata così grigia e Piazza Duomo ha una patina che somiglia al colore della cenere. In via Montenapoleone gli zampognari suonano dentro la luce dei negozi dove brillano gioielli rimasti tutto l’anno nelle casseforti. Le “caterinette”, ovverosia le giovani sarte che la leggenda vuole siano protette da Santa Caterina di Alessandria, lavorano come fossero minatori del Galles con turni di lavoro massacranti per produrre abiti da sera e pellicce. I salumieri espongono salsicce francesi e caviale del Caspio. I vinai telefonano in Borgogna direttamente per regolare l’arrivo dei vini. Ufficialmente Milano, che si avvicina a spron battuto al Natale, entra ufficialmente nell’inverno, nonostante da parecchi giorni la temperatura si attesti costantemente sotto lo zero. C’è un gran fermento in città perché stasera, sotto il nebbione, ci sarà il magniloquente rito dell’apertura della Scala, che tutti dicono quest’anno avrà tutti i crismi dell’eccezionalità. Se sarà davvero memorabile lo vedremo, fatto sta che mi tocca tirar fuori lo smoking perché stasera sono atteso nel foyer per partecipare alla Prima, usanza che in famiglia è una piacevole costante da molti anni a questa parte. La mia prima “première” è stata nel 1946, appena arrivato in Italia, a 20 anni, di fianco a mio zio e mia zia. Ricordo che nel palco vicino al nostro sedevano personalità della politica e della cultura, tutte le maggiori autorità cittadine insieme ai membri della commissione alleata e ai rappresentanti dei Consolati e delle Ambasciate straniere. Ricordo che quando Toscanini ha fatto il suo ingresso in scena, tenendo in mano la tradizionale bacchetta dall’impugnatura tricolore, la folla è scattata in un’ovazione interminabile che mi ha quasi commosso. E se ci penso credo che la mia passione per l’opera sia nata proprio quella sera. Da allora sono passati quasi 15 anni e l’aura di mondanità scaligera sembra finalmente aver ritrovato i fasti di un tempo. Pare che stasera vedremo abiti lunghi dagli strascichi sontuosi, gioielli e diademi da festa di Versailles e che i visoni saranno sorpassati in favore di ermellini e cincillà. Per i signori invece semplicemente più frac e meno smoking. Se tutte le promesse verranno mantenute pare che il ritorno della Callas alla Scala rimarrà nella storia come qualcosa di formidabile.

C’è un gran fermento in città perché stasera, sotto il nebbione, ci sarà il magniloquente rito dell’apertura della Scala, che tutti dicono quest’anno avrà tutti i crismi dell’eccezionalità. Se sarà davvero memorabile lo vedremo, fatto sta che mi tocca tirar fuori lo smoking perché stasera sono atteso nel foyer per partecipare alla Prima, usanza che in famiglia è una piacevole costante da molti anni a questa parte

Il Poliuto di Donizzetti è stato effettivamente straordinario come straordinaria è la bellezza di mia moglie Augusta, fasciata in un meraviglioso abito di Balenciaga disegnato dallo stilista spagnolo Federico Forquet, che in questo momento mi cinge il braccio e che tutti si girano a guardare appena entriamo, una vota calato il sipario, nella tranquilla atmosfera del Biffi Scala. La serata al Biffi trascorre placida pasteggiando a champagne e gustando il tipico risotto alla milanese mentre nelle vie laterali che costeggiano il ristorante impazzano paparazzi e fotoreporter ansiosi di vedere da vicino le due coppie più attese e ammirate della serata formate dalla Callas più Onassis e dai principi Grace di Monaco e Ranieri. Alle quattro del mattino, quando abbandoniamo il Biffi e usciamo in strada, dietro ai principi scatta un parapiglia e i cronisti si mettono all’inseguimento della fuoriserie bianca con i due a bordo, diretti verso via Brera dove saranno ospiti nel palazzo al numero 12 di proprietà del conte Citterio, mentre nella sala ormai deserta del Biffi Onassis e la Callas se ne restavano seduti tranquilli al loro tavolo a conversare fino alle prime luci dell’alba attendendo che la città si riprendesse dallo spettacolo per l’apertura di uno dei teatri più belli del mondo.

Sant'Ambrogio e la prima della Scala: i miei ricordi e quelli di mio padre
La prima della Scala del 1946.

7 dicembre 2007 – Andrea. La mappa dei locali è sempre la solita. Aperitivo al Frank in via Vittorio Veneto, solite modelle e accompagnatori. Al tavolo di fianco al mio c’è Geronimo La Russa con una ragazza con i capelli biondi e due tavoli più in là c’è Fernanda Lessa con Pietrino, un tizio, sempre circondato da smorfie mozzafiato, che conosco dallo Stage di via Manzoni, da Sestri Levante e che era nella classe di fianco alla mia allo Studium. Hanno davanti una bottiglia di champagne, io ordino un Bloody Mary e attendo Allegra, come sempre in ritardo, mentre rifletto sul fatto che Fernanda Lessa, se non erro, ultimamente si è messa addirittura a fare la dj e la cosa non sta né in cielo né in terra, perché gente come me si fa il mazzo nei locali da anni e questa solo perché è figa e si è fatta nell’ordine: Isola dei Famosi e Boosta dei Subsonica, adesso la chiamano dj. Al mondo non c’è davvero religione e penso che forse dovrei mandare affanculo i locali una volta per tutte e cambiare mestiere, magari continuare a fare il barman, professione nettamente più onesta, e abbandonare questa vita fatta di orari folli, droga e zero riconoscenza. Stasera comunque suono all’Hollywood ma prima ho in programma una cena con Allegra da Giannino, in via Vittor Pisani, e un altro paio di drink da Nobu o al Jamaica, ancora non ho deciso. Milano in ogni caso si sta svuotando, c’è il mega ponte di Sant’Ambrogio e metà delle persone che conosco sono partite per la montagna, quasi tutte a Sestriere o Cervinia o Courmayeur. Al terzo Bloody Mary Allegra non è ancora arrivata così mi scoccio, mi alzo, pago il conto e chiamo Rupert e Dodo per provare almeno un minimo a svoltare la serata. Dopo tre telefonate a vuoto finalmente qualcuno mi risponde, così salto sulla mia bici nera con i freni a bacchetta che confidenzialmente chiamo “la Jaguar delle biciclette” e li raggiungo a casa di Dodo in Via Ampère. Quando arrivo da loro Dodo mi apre la porta strafatto, nell’aria c’è odore di cocaina che è stata appena fumata anche se lui stringe tra le mani un sigaro Montecristo che minaccia continuamente di accendere ma non accende e indossa una t-shirt nera di Commes des Garçons sotto una giacca nera doppiopetto e un paio di occhiali da vista di Gucci infilati su una testa che nonostante la mega fattanza non è affatto male.
«Allegra ti ha dato buca per caso?», sta dicendo Rupert, seduto su una cheska davanti al grosso tavolo del soggiorno, strapieno di bottiglie di birra, piatti da cucina con il fondo annerito, schede telefoniche e un portacenere strabordante di mozziconi e paglie sventrate. Oltre ovviamente a un mucchio di coca, lasciato consapevolmente a troneggiare al centro della scena. «Esatto, bello», rispondo. «Non posso farci niente, sai com’è Allegra, mi sono ubriacato da solo al Frank come un coglione», aggiungo con tono inespressivo. Dopo una breve e spaventosa pausa Rupert riprende a fare quello che stava facendo, ovverosia stendere sul piatto tre righe lunghe e sottili delle quali una è sicuramente per me. «Se tu sapessi come ti capisco non ci crederesti», interviene Dodo, sempre con il Montecristo in mano. Poi mi servo dal piatto e dopo che la coca entra in circolo ho come una palla gigantesca in gola che quasi non riesco nemmeno a deglutire. Seguono un numero imprecisato di ore dove non ci alziamo mai da tavola, continuiamo a pippare senza sosta, a fumare una quantità inutile di Philip Morris gialle, a parlare di cose senza alcuna importanza che dimentico nello stesso momento in cui le ascolto, quando di colpo si fa mezzanotte e quaranta e io sono costretto ad alzarmi per andare a lavorare.

Mi accendo una sigaretta per cercare di riprendermi e mentre guardo alla tv le notizie ho una specie di capogiro quando scorrono al tg le immagini della Prima della Scala di ieri e tra gli ospiti intervistati direttamente dal foyer, tra Clarence Seedorf, Gianni de Michelis, Ignazio La Russa e Fedele Confalonieri, riconosco Allegra, con indosso un vestito di Balenciaga senza maniche

Fortunatamente sono una rockstar, quindi a nessuno frega un cazzo se arrivo al locale con quasi un’ora di ritardo e inoltre, dato che sono tutti fatti, nessuno nota che sono impizzato a bestia. Salgo in consolle con indosso un paio di jeans sdruciti e un maglione in shetland senza camicia e dopo essermi messo le cuffie, uno dopo l’altro, inizio a mettere sul piatto delle bombe di Aphex Twin mischiate a dei pezzi di Blondie ad altri dei Chemical Brothers, dei Cure, dei Daft punk, dei Depeche Mode, di Madonna, dei New Order e dei Prodigy, concludendo alle quattro del mattino il tutto con Nevermind dei Nirvana a petto nudo dopo aver preso in mano il microfono e aver urlato a squarciagola il più classico del «mi fate tutti schifo», ubriaco marcio, grazie ai cinque cuba libre che mi sono scolato nel corso della serata. Tornando a casa, sempre in bici, dopo varie scorribande noto una ragazza di colore, splendida, al lato del marciapiede su Viale Abruzzi, in attesa del prossimo cliente. Tette da sballo, alta, fisico statuario… inchiodo estasiato senza pensarci due volte la jaguar delle biciclette. Sono più o meno le cinque del mattino quando ho il culo, gelato, appoggiato nudo su una rover, mentre osservo con aria indifferente il palazzo in via Amedeo d’Aosta dove sono praticamente nato, e il mio cazzo scivola avanti e indietro, dentro e fuori dalla sua bocca. I suoi capelli mi solleticano la pancia, la sua lingua si muove esperta sulla mia cappella, mi posiziono in modo da poterglielo infilare tutto dentro e lei mi blocca i fianchi con entrambe le mani e lo inghiotte mentre io mando gemiti soffocati ma siccome non voglio ancora venire le chiedo di guardarmi negli occhi e continuare a masturbarmi. Jessica, 22 anni, probabilmente nigeriana, mi toglie con cura il preservativo dal cazzo, mi pulisce la punta con un fazzoletto di carta e dopo averla baciata sulla mano per ringraziarla e salire sulla bici mi giro per dare un ultimo sguardo al palazzo dove fino al 1989 ho vissuto con mio padre e mio fratello, tra agi e balocchi.

Il risveglio nel mio letto a casa, in via Tiepolo, appare piuttosto disturbato. Apro gli occhi rantolante, completamente sconvolto. La radio è ancora accesa, per terra c’è un mezzo boccale di birra ancora pieno e tutto intorno un bordello ben poco rassicurante. Sono all’incirca le tre del pomeriggio del giorno dell’Immacolata. Mi accendo una sigaretta per cercare di riprendermi e mentre guardo alla tv le notizie ho una specie di capogiro quando scorrono al tg le immagini della Prima della Scala di ieri e tra gli ospiti intervistati direttamente dal foyer, tra Clarence Seedorf, Gianni de Michelis, Ignazio La Russa e Fedele Confalonieri, riconosco Allegra, con indosso un vestito di Balenciaga senza maniche, aggrappata al braccio di un tipo con la faccia da babbo di minchia, in smoking, che mi pare di aver già visto da qualche parte. Due ore più tardi sono ancora con Rupert e Dodo, a casa di un transessuale amico di Rupert che abita nelle case popolari in fondo a Viale Sarca e che, per arrotondare, la notte, a fine servizio, spaccia anche qualche busta. «Hai mai provato a farti fare un pompino da un trans?», mi chiede Rupert, appena varco la soglia dell’appartamento con lo sguardo spiritato. «Beh, se non hai mai provato vuol dire che non ti sei mai fatto fare vero un pompino!».

Sant'Ambrogio e la prima della Scala: i miei ricordi e quelli di mio padre
Il teatro La Scala a Milano (Getty Images).

Oggi. S. Ambrogio, la città è già deserta, ascolto tre vinili jazz chiuso in casa da solo, uno dopo l’altro. Inventions & Dimensions di Herbie Hancock del 1963, Moanin’ di Art Blakey e Jazz Messengers del 1958, Adam’s Apple di Wayne Shorter del 1966. Vado in fissa sulle luci multicolor dell’albero di Natale che lampeggiano in salotto, sento al telefono Gian Maurizio Fercioni e Guido Falck per un paio di cose che ho in mente di scrivere nei prossimi giorni. Sfoglio Detective Selvaggi di Bolaño e Una cascata di diamanti di Ian Fleming, steso sul divano sotto un plaid a quadretti scozzese mentre fuori dalla finestra la temperatura è più o meno fissa sui due gradi. Mi preparo una tazza di tè caldo, mi rollo uno spino di CBD, mi appunto sulla moleskine le cose da fare nei prossimi giorni e mi domando quando uscirà l’intervista che ho fatto alla Gialappa’s sul Messaggero. Rileggo il racconto settimanale per Tag e penso che ormai Balenciaga resterà famosa solo per lo scandalo delle foto che ritraggono bambini e oggetti bondage, che gli applausi di stasera alla Scala a Mattarella non bastano a reprimere il disgusto nell’aver visto le facce di Meloni e La Russa nel foyer, che non so cosa regalare ad Ofelia a Natale. Anzi, in realtà lo so, ma è un regalo molto complesso da realizzare, che in fondo è soprattutto una cosa che faccio a me stesso ma che non ho ancora detto a nessuno per scaramanzia, a parte a DFA. Poi il vinile di Wayne Shorter finisce, mi alzo e infilo alla rinfusa nella mia sacca da viaggio tre maglioni blu di lana pesante, una camicia oxford a righe e un paio di pantaloni di velluto perché domani parto per un paio di giorni. Vado a Santa per un servizio sulla Rolly Go, la barca a vela di Giorgio Falck, per ascoltare una conferenza a Villa Durazzo sulla fantastica storia, raccontata dalla viva voce da un membro dell’equipaggio, di quando nel 1981 ha fatto il giro del mondo. Nella borsa metterò anche l’ennesimo libro di Bruce Chatwin intitolato Che ci faccio qui?, quello con in copertina la famosa foto di lui, bellissimo in sahariana, con un paio di scarponcini da montagna annodati al collo. La prefazione recita più o meno così: «I frammenti, i racconti, gli appunti di viaggio raccolti in questo libro sono tutte idee mie. La parola racconto serve ad avvertire il lettore che, per quanto la narrazione possa avvicinarsi ai fatti, c’è stato un intervento della fantasia».

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