Papa Francesco ha detto di aver pronta, in caso di necessità, la sua lettera di rinuncia. Un’ammissione forte, che ha suscitato molta apprensione tra fedeli e vaticanisti. Ma chi è del mestiere sa che quelle del Pontefice non sono parole che indicano debolezza: piuttosto forza. La barca di Pietro, scossa dalle tempeste, naviga nel mare agitato del mondo globalizzato, guidata da una ciurma non più europea, ma ecumenica. E il timone coincide con chi cura la proiezione mondiale della Chiesa, identificabile sempre di più in questi anni con la Comunità di Sant’Egidio.
Zuppi e Sant’Egidio, comuni le battaglie per la pace e i migranti
Sant’Egidio “rema” compatta, in questa fase, per preparare la strada della successione a Francesco al porporato a lei più vicina: Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. Romano, parroco di Santa Maria in Trastevere dal 2000 al 2010, Zuppi è un antico amico di Sant’Egidio: comuni le battaglie per la pace, i migranti, l’apertura “progressista” della Chiesa. Frequenti le sue presenze ai pranzi di Natale coi senzatetto della Comunità. E l’arcivescovo di Bologna, creato cardinale nel 2020, ha scelto proprio Sant’Egidio in Trastevere come Chiesa di riferimento per la sua carica da porporato.

La nuova componente italiana della Curia targata Bergoglio e incarnata dall’arcivescovo di Bologna riflette la “Chiesa in uscita” desiderata dall’attuale Pontefice. Primo punto: attenzione alle periferie. Gli italiani nominati cardinali elettori sono oggi gli arcivescovi della periferia della Chiesa nazionale, da Agrigento a Como, o addirittura gli alfieri del Vaticano nelle periferie del Pianeta. Il caso di Giorgio Marengo, giovane vescovo della Mongolia creato cardinale a 48 anni, insegna. Punto secondo: vocazione missionaria e apertura al dialogo ecumenico e con le situazioni di disagio nel mondo. L’italianissimo Pietro Parolin, segretario di Stato, interpreta al meglio questo ruolo e negli anni si è più volte avvalso della sponda con Sant’Egidio.
Associazione di laici devoti diventata centrale diplomatica
La Comunità fondata nel 1968 dall’allora 18enne Andrea Riccardi è diventata nei decenni la piccola “Onu di Trastevere“. Associazione di laici devoti riconosciuta dal Vaticano ma slegata dalle gerarchie pontificie, ha costruito nel decennio di Francesco un rapporto privilegiato con il papa. In un certo senso, Sant’Egidio è la Chiesa in uscita prima di Francesco. Giovanni Paolo II, nel 25esimo anniversario della sua nascita, ricordava che Sant’Egidio non aveva altri confini se non quelli «della carità». Dalla testimonianza nel sostegno agli emarginati e i migranti alla lotta alla tossicodipendenza, l’Ong cattolica più vicina al Vaticano (geograficamente parlando) è diventata un crocevia fondamentale. Ma il ruolo decisivo è sicuramente quello di centrale diplomatica. Capace di influenzare profondamente Roma, sia quella del potere vaticano sia quella della politica italiana.

La prima linea vaticana nelle più difficili operazioni all’estero, come in Africa
Mentre a Roma i poteri dello Stato profondo italiano si scontrano tra componenti filoamericane e “partito francese”, a Trastevere la logica è quella dell’hub di sistema. Sant’Egidio è la prima linea vaticana nelle operazioni all’estero, nella mediazione in contesti difficili come l’Africa subsahariana e soprattutto una vera centrale informativa (potremmo dire d’intelligence) nei rapporti con le potenze decisive per l’agire politico della Chiesa. E non a caso Stati Uniti e Francia sono state decisive per la storia di Sant’Egidio.

Tra Stati Uniti e Francia: Giro e Riccardi figure chiave
La triangolazione tra apparati vaticani, intelligence e diplomazia Usa e politica italiana aprì la strada al ruolo decisivo per la mediazione di Sant’Egidio in Mozambico, oltre 30 anni fa. Nel 1990 Riccardi iniziò a mediare tra i contendenti della guerra civile, il Frelimo e la Renamo, arrivando nel 1992 alla firma degli Accordi di pace di Roma. Nel 1996-1997 Sant’Egidio stabilizzò, su input di questo medesimo asse, l’Albania in preda all’anarchia politica.

Sul fronte francese, l’Africa subsahariana è stata un terreno d’azione comune. Storicamente vicino a Parigi è stato Mario Giro, a lungo vicepresidente di Riccardi e assieme allo storico e accademico pugliese principale esponente di Sant’Egidio giunto in posizioni di governo. Riccardi è stato ministro della Cooperazione Internazionale nel governo Monti. Giro, invece, viceministro degli Esteri con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, dedicandosi in asse con la Francia all’espansione dell’attività diplomatica di Roma dal Niger alla Repubblica Centrafricana. Sulla scia, ça va sans dire, delle operazioni dell’Onu di Trastevere.

Stretto rapporto con Parigi dall’inizio della presidenza Macron
Osmotico il rapporto con Parigi dall’inizio della presidenza di Emmanuel Macron. L’invito di Sant’Egidio garantì a Macron una passerella romana nel giugno 2018 nel pieno del braccio di ferro col governo gialloverde; a ottobre 2022 la presenza del capo dell’Eliseo all’evento della Comunità sulla pace consentì, ai margini, il primo incontro con Giorgia Meloni. Francesco ha in grande considerazione Parigi, che ritiene indispensabile per gli equilibri europei, mediterranei e africani, in fronti decisivi per la pace, la diplomazia e la difesa dei cristiani perseguitati. La tutela del nesso diplomatico è oggi più che mai fondamentale in una fase in cui tra Francesco, Macron e Sant’Egidio la triangolazione è centrata sulla ricerca di una via di pace per l’Ucraina.

Portato avanti il messaggio “teologico-politico” del cardinal Martini
Sant’Egidio è una sezione della Chiesa universale perché romana ma proiettata fuori dall’Urbe. Figlia delle periferie, del contro-Sessantotto cattolico e di un mondo complesso e di crisi, ha plasmato e anticipato lo spirito di Assisi per l’ecumenismo e incorporato in forma d’azione il messaggio “teologico-politico” del cardinal Martini. Diventando la più importante macchina politica di appoggio esterno e diplomatico all’era Bergoglio.
Laddove La Civiltà Cattolica di padre Antonio Spadaro, gesuita come Francesco, è la centrale culturale del pontificato, Sant’Egidio ne è il braccio operativo. La vicinanza alla Comunità e all’antica tradizione del cattolicesimo progressista oggi in crescita in Curia si concretizza con Zuppi. La cui figura appare sempre di più “papabile” in una prospettiva di successione a Francesco che dia vita a un pontificato post-occidentale guidato da un europeo. Fattispecie che rappresenterebbe il vero trionfo dell’era Bergoglio: impiantare nel cuore del mondo cattolico l’ideologia della Chiesa in uscita. E forse per ciò i tempi sono maturi.
Il laboratorio della Chiesa che verrà, con un ruolo speciale per l’Italia
Tout se tient: si tiene Sant’Egidio, figlia del Concilio, col pontificato di Francesco plasmato sull’attenzione ai dimenticati, alla dottrina sociale della Chiesa, alle disuguaglianze. Si sommano il ruolo speciale dell’Italia, “ventre” del cattolicesimo, con la conquista da parte di Bergoglio dei cuori e delle menti dei vertici del suo cattolicesimo. Si uniscono il superamento dell’eurocentrismo col riconoscimento del fatto che, forse, il primo territorio di missione è proprio il Vecchio continente. La battaglia per la pace, la testimonianza per un Vaticano politico e diplomatico, ecumenico ma anche europeo: la mossa di Sant’Egidio è trasparente e prepara la Chiesa di domani. In cui le azioni del presidente della Cei, che ad agosto ha elogiato i suoi amici di Trastevere come «costruttori di pace», sono in ampia risalita.