Terza serata di Sanremo, fino a qui tutto bene. L’importante non è la caduta, ma l’atterraggio, diceva la voce narrante de L’Odio, noi non possiamo che fare nostre queste parole, consapevoli che sia come sia, l’atterraggio sarà sempre abbondantemente dopo le due di notte. E nella caduta, tra il sonno, quel senso di straniamento che solo il vivere in una bolla autoreferenziale come Sanremo sa essere, la speranza di riuscire prima o poi a comprendere perché Amadeus si ostini a fingersi buono e tonto quando è chiaro a tutti che si tratta di un pitbull feroce che non molla l’osso neanche se lo si prende a calci sulle costole, non rimane altro che provare a concentrare l’attenzione su qualcosa, come si fa fissando un punto sul cruscotto quando, in auto, abbiamo la nausea a causa della guida un po’ troppo sportiva di chi sta al volante, e quel qualcosa non può che essere la musica.
LEGGI ANCHE: La classifica della terza serata
Quest’anno tutte le canzoni sono di qualità, sopra la solita media sanremese
Anche perché una serata che presenta tutte e 28 le canzoni non è che lascia molto spazio alla fantasia, con la musica ci si trova a che fare. Una musica che, stranamente, quest’anno è assolutamente di qualità, forse con qualche sbavatura, ma nel complesso decisamente sopra la solita media sanremese. Ora si pone un dubbio esistenziale, dubbio sollevato nel loro brano dagli Articolo 31, certo, ma non solo da loro: non sarà che il critico musicale, cioè lo scrivente, con il passare del tempo si sta ammorbidendo, passando dall’essere una sorta di Eymerich con lo scudiscio e la vergine di ferro chiusa in cantina all’essere un tenerone con gli occhi gonfi di lacrime ogni due minuti, sentimentale fin quasi allo schifo? Il fatto è che in effetti, dopo due anni di Sanremo visto da lontano, anche da chi magari si trovava in riviera, interviste e conferenze fatte su Zoom, le mascherine, le bolle, tutta quella roba lì, la commozione è sempre dietro l’angolo, anche quella ingiustificata, se non si vuole far ricorso al rincoglionimento o, peggio, a una qualche forma di demenza. Così ogni volta che una canzone o una interpretazione potrebbe mostrare il fianco, ecco che arriva una qualche giustificazione d’ufficio, un senso di colpa quasi cattolico a farsi largo tra la sana voglia di stroncare, lasciando quindi spazio a una serenità pacificata vagamente alla Tiziano Terzani, un respiro lento e zen che avvolge la mente, quasi assopendola.

La terza serata è stata giocoforza priva di distrazioni di massa
Lo so, sto girando in tondo come chi aspetta di vedere qualcuno salire sulla propria auto, pronto a lasciare libero un posto nel parcheggio, teoria contrapposta a quella di chi resta fermo in un qualche punto aspettando che la vita faccia il suo corso, carpe diem e tutto il resto. Il fatto è che la serata del giovedì, quella che cioè ripropone tutti i brani in gara, divisi equamente al primo ascolto tra martedì e mercoledì, è giocoforza sempre la più povera di distrazioni di massa: troppe canzoni da ascoltare in genere, figuriamoci quest’anno che le canzoni sono 28. Una noia mortale, potrei azzardare, non fosse che la parte che ho indicato come la più noiosa nelle prime due serate era proprio quella priva di musica, i monologhi, Dio ce ne scampi, le gag con Morandi che corre, gli ospiti inutili, tutti quegli orpelli lì. Quindi ecco un paradosso, attenzione, qualcosa cui aggrapparsi con tutta la disperazione di chi sa che se molla le assi della nave morirà affogato, anche se poi il freddo avrà comunque il sopravvento, abbiamo visto tutti Titanic, a proposito di qualcosa di lunghissimo e noioso. Il paradosso che se tra una canzone, belle canzoni, spesso, c’è tanta, troppa televisione, scatta la noia livello mortale, ma se ci sono solo le canzoni, belle canzoni, spesso, siamo attanagliati comunque dalla noia, come quando da bambini ci capitava di finire tra i rovi per recuperare un pallone, lì al campetto dove passavamo i pomeriggi, e più provavamo a venirne fuori più ci si stringevano alle caviglie, ferendoci e lasciandoci sanguinare. Noia ovunque.

Manco l’ombra di una polemica, anzi Grignani difende Blanco
Manco l’ombra di una polemica, nessuno che dice “cazzo” a caso, nessuno che strappa foto di parlamentari, figuriamoci qualcuno che prenda a calci dei fiori, anzi Grignani ha pure difeso Blanco, quando non riuscendo a sentire per problemi agli earmonitor ha chiesto di fermare la musica, niente di niente. Neanche un intoppo alla scaletta, nessuna stecca di quelle che poi finiscono nei meme, oggi funziona così, giusto qualche gesto in apparenza bizzarro, che chiaramente è fatto per prendere punti al Fantasanremo. Certo, Paola e Chiara, stavolta in apertura, hanno ancora una volta fatto benissimo una canzone che ci farà ballare tutta l’estate. Mara Sattei presenta una canzone interessante su un rapporto tossico, con un bridge di una difficoltà unica, non colto nel suo primo passaggio, poco prima dell’alba. Rosa Chemical ci ha fatto muovere sul filo della provocazione, molto meno spaventoso di quanto un qualsiasi deputato di Fratelli d’Italia potesse pensare. Grignani è tutto cuore, anche se nella speranza che prima della fine ci regali almeno una performance all’altezza della sua carriera. Levante ci presenta anche stasera il suo racconto di consapevolezza e consciousness, corpi e ombre che devono ritornare al loro posto.

Tananai sanremese al 100 per cento, Elodie vincente, Colapesce e Dimartino ironici e contemporanei
Tananai a ogni passaggio è più integrato e meno apocalittico con un pezzo che più sanremese alla vecchia maniera non si può. Lazza presenta una delle basi più belle del Festival con un testo che se solo si capisse cosa dice si potrebbe anche giudicare. LDA è lì a sdoganarsi dal padre, padronanza e intonazione al servizio di una canzone media. Madame è finalmente protagonista con una gran bel brano up, quindi per la musica e non per altre faccende. Ultima si gioca la carta del pianoforte, ma resta sempre tristanzuolo come sempre, anche stavolta sarà per la prossima volta. Elodie è una ventata di girl empowerment e di sensualità con quella che forse dovrebbe e potrebbe essere la canzone vincente. Mr Rain canta la depressione in compagnia dei bambini, ma poi gli sfugge un po’ la mano e organizza pure una mezza coreografia con tanti di alette d’angelo, esagerando. Giorgia incanta, come una come Giorgia sa fare con una naturalezza impensabile per chiunque altro da quelle parti.

Colla Zio al secondo ascolto perdono un po’ di smalto, del resto essere giovani non è in sé un valore, mai. Mengoni prova a farci vedere cosa è in grado di fare e quel che ci fa vedere è che non ha ancora capito che far vedere tutto è in fondo un modo per non affascinare, semmai impressionare.
Colapesce e Dimartino provano a farci vedere come si può essere colti, ironici, contemporanei pur guardando al passato, riuscendoci in pieno. I Coma_Cose che ci regalano un gioiello fatto di equilibri e parole e suoni tutti al posto giusto, come dovrebbero essere i tasselli che compongono un puzzle come una lunga storia d’amore. Leo Gassmann si toglie di dosso eredità di vario tipo, con una canzone d’autore che lui rende sua. I Cugini di Campagna fanno i Cugini di Campagna, cioè gigioneggiano col look, ma sono precisi come pochi con le voci, anche se il look, è ovvio, ha il sopravvento su tutto. Olly è un clone di Blanco, solo che non rompe niente e porta un po’ di freschezza dopo la mezzanotte e mezza che è già di suo una sorta di regalo, come uno che ti passa una Redbull quando stai per addormentarti al volante.
Anna Oxa è la vera mina impazzita di questo Festival
Anna Oxa è fondamentalmente la mina impazzita di questo Festival, interpreta la canzone più complessa e lo fa nel modo più complesso, vestita come uno di quei tizi che dormono nelle tende di Decathlon nei parchi pubblici di Milano e urlando a un certo punto come forse in passato solo Aiello. Gli Articolo 31 smettono i panni degli zii e indossano quelli degli uomini maturi che non fingono di essere giovani per sempre, con una canzone che ambisce a diventare un classico. Ariete porta una sana ventata di zoomerismo (trademark di J Ax) su quel palco, con un brano che ha almeno lo special molto calcuttiano. Sethu col gemello porta un po’ di punkitudine, di quella della sua generazione, cioè che si rifà agli Anni 90 invece che ai 70, ma all’una e un quarto è almeno un modo per non dormire. Shari, vestita in lattice e con dei tacchi da trapezista presenta la sua Egoista, che in effetti cresce bene a ogni ascolto. gIANMARIA parla di oscurità varie e lo fa su un ritornello up che, fosse comprensibile tutto il testo, potrebbe essere da lodare più di quanto io già non faccia. I Modà, come Mr Rain, presentano una canzone sulla depressione, qui del cantante Kekko, ma lo fanno con una maturità maggiore, complice l’anagrafe, senza farsi sconti, certo, ma lasciando aperto uno spiraglio per chi mai dovesse trovarsi in quella situazione di malattia. Will, infine, all’1 e 35, bè, sfido io a essere lucidi all’1 e 35.

Paola Egonu, 1 metro e 93 di spigliatezza e bellezza
Nel frattempo, mentre Amadeus e Gianni Morandi continuano a guardare al pubblico come fossero dei minus habens da intrattenere con un linguaggio ipersemplificato, la vera sorpresa della serata è Paola Egonu, 24 anni per un metro e 93 di spigliatezza e bellezza, alla faccia di Chiara Ferragni e anche di Francesca Fagnani. Anche il momento del monologo è stato meno finto degli altri, anzi, decisamente più a fuoco. Detto che se i monologhi non ci fossero ne guadagnerebbe proprio lo spettacolo, ne avrebbe guadagnato la Egonu e anche noi, qui dietro uno schermo. Fino a qui tutto bene, quindi, nonostante una classifica che pone sopra il decimo posto tutte le canzoni più belle, a riprova che Freak Antoni la sapeva lunga, ma alle due di notte, santo Dio, è davvero ora di andare a dormire, del passaggio dei Maneskin ve ne parliamo un’altra volta, magari davanti a un caffè.