Dopo aver trascorso 207 giorni in un carcere della Corea del Sud Lee Jae-yong, il numero uno di Samsung e nipote del fondatore dell’azienda, è uscito di prigione ed è adesso in libertà vigilata. A gennaio 2020 era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per corruzione e appropriazione indebita, in un caso che ha coinvolto l’ex Presidente Park Guen-hye, a sua volta in carcere per corruzione e concussione. Le condizioni della sua libertà prevedono alcune restrizioni commerciali – non è ancora chiaro se potrà continuare a guidare l’azienda – e non potrà viaggiare all’estero senza autorizzazione.
I giudici lo hanno ritenuto colpevole di aver pagato oltre 37 milioni di dollari a due fondazioni gestite da Choi Soon-sil, amica e principale consigliera di Park, in cambio di favori politici. Le tangenti, infatti, sarebbero servite per favorire una fusione tra due affiliate della Samsung per consolidare ancora di più il potere dell’azienda e del suo leader, ma per la fusione sarebbe servito l’ok del governo. Lee «ha attivamente elargito tangenti e chiesto implicitamente al Presidente di usare il suo potere per aiutare la riuscita dell’operazione senza problemi», si legge nella sentenza.
La scarcerazione di Lee è avvenuta su decisione del ministro della Giustizia. Tradizionalmente, in occasione delle celebrazioni del giorno dell’indipendenza del Paese (15 agosto) il governo concede la grazia presidenziale o la libertà condizionale ad alcuni detenuti. Il leader di Samsung rientra nel gruppo di oltre 810 usciti di prigione nel 2021, e il suo caso è stato considerato per «la situazione economica del Paese e le condizioni dell’economia globale nel pieno della pandemia», oltre per la sua buona condotta. A fare pressione affinché fosse liberato la stessa Samsung, l’associazione di imprenditori e industriali sudcoreani e la Camera di commercio degli Stati Uniti, visto che l’azienda ha in ballo affari multimiliardari negli Usa.
Lee Jae-yong, una rapida ascesa in Samsung
I media sudcoreani chiamano Lee «Il principe ereditario della Samsung», ed effettivamente è difficile non considerarlo tale. Nato nel 1968, è entrato nell’azienda di famiglia nel 1991. Il nonno Lee Byung-chul la fondò nel 1938 a Seul, il padre Lee Kun-hee ne è stato presidente in due occasioni (1987-2008, 2010-2020), trasformandola in uno delle principali colossi tecnologici al mondo. «L’erede», dopo essersi formato tra la Corea del Sud e Harvard, entrò a 23 anni come Vice presidente della pianificazione strategica, per poi diventare Chief Customer Office, una qualifica creata esclusivamente per lui.
Diventato vice presidente di Samsung nel 2012, Lee Jae-yong ha guidato di fatto l’azienda dal 2014, anche se il padre è rimasto presidente fino alla morte nel 2020. Sempre nel 2014 Forbes lo ha nominato il 35 esimo uomo più potente della Terra e il coreano più influente. Con un patrimonio stimato di 12,5 miliardi di dollari, è la quarta persona più ricca della Corea del Sud e il 188 esimo al mondo.
Lee Jae-yong e i guai giudiziari
I primi problemi con la giustizia sono iniziati nel 2017, sempre relativi allo «scandalo Choi Soon-sil» dell’anno prima. La donna, amica e confidente della Presidente Park Guen-hye, l’avrebbe manipolata condizionandone scelte politiche e coinvolgendola in ripetuti atti di corruzione. Tra questi, anche quelli che nell’agosto di quell’anno portarono a una prima condanna a cinque anni di reclusione nei confronti di Lee Jae-yong, poi liberato a febbraio 2018 dopo la riduzione a due anni e mezzo in appello. Samsung ammise di aver pagato oltre 30 milioni alle due fondazioni di Choi, ma negò la relazione con la fusione contestata invece dai procuratori sudcoreani. A gennaio 2021 la nuova condanna, adesso la seconda scarcerazione, ma il manager è indagato anche per frode e aggiotaggio e potrebbe tornare nuovamente in prigione.
Lo scandalo costò carissimo alla Presidente Park Guen-hye: rimossa dall’incarico nel 2017, il suo impeachment portò a duri scontri tra i suoi sostenitori e la polizia a Seul, ma tanti furono anche i manifestanti che ne chiesero la condanna. Nel 2018 ne arrivarono ben tre: una a 24 anni di reclusione per corruzione, abuso di potere e diffusione di segreti di Stato, e altre due (per complessivi 8 anni) per aver accettato fondi illegali dall’intelligence e per aver interferito nelle elezioni. Si è sempre dichiarata innocente.
66 years old Park Guen-hye, former President of South Korea, who was removed from office for corruption has been sentenced to 24 years in prison.#WhySomeAreGreat #AndOthersAreNot pic.twitter.com/VBsSwXU6t3
— Jack Vince (@Jikan_Shehu77) April 6, 2018
La sua vicenda giudiziaria favorì l’ascesa al potere di Moon Jae-in, sconfitto da Park alle elezioni presidenziali del 2012 ma risultato vincitore in quelle del 2017. Moon prese la carica dopo aver promesso di spezzare il legame profondo tra le grandi imprese e il governo. Più di mille tra i gruppi civici legati alle proteste contro Park hanno chiesto all’attuale Presidente di non perdonare Lee, e la sua scarcerazione – comunque in regime di libertà vigilata – ha scontentato tantissime persone. La decisione del governo è stata quindi un boomerang? Lo diranno i sudcoreani il prossimo anno alle urne.