Sguardo sereno, passo tranquillo e un semi sorriso: Salvo Riina, terzogenito del capomafia Totò Riina, torna a Corleone. Ormai lontana per lui la condanna già scontata a 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa, riciclaggio ed estorsione, ha vissuto tra il Veneto e l’Abruzzo. Grazie al regime di affidamento ai servizi sociali, ha intrapreso un percorso fatto con l’Associazione famiglie contro la droga terminando gli studi per poi laurearsi.
Salvo Riina torna a Corleone
A diffondere la notizia del suo rientro in paese è stato il quotidiano La Repubblica. Riina jr. era assente da Corleone dal 2017, quando ebbe il permesso dal giudice di tornare per fare da padrino al figlio di una delle sue sorelle, la più piccola. Giovanni, il fratello maggiore, è in stato di detenzione per una condanna definitiva all’ergastolo per duplice omicidio e mafia.
Chi è
Salvo Riina, figlio del boss di Cosa Nostra morto in carcere a Parma nel 2017, compirà 46 anni tra un mese. Nato il 3 maggio 1977 nella città di Palermo, è riuscito a riabilitarsi dopo l’arresto nel 2002 e la condanna a 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa, riciclaggio ed estorsione. Grazie all’Associazione Famiglie Contro la Droga si è laureato ma, nonostante il brillante percorso di studi, al momento del suo rientro a Corleone per il battesimo del nipote la Procura di Palermo definì «persistente» la sua pericolosità sociale. Ormai libero dal 2019, ha vissuto a Padova ed è stato ospite della trasmissione Porta a Porta in occasione della pubblicazione del suo libro Riina family life, durante la quale Salvo ha descritto il padre «riferendosi ad un uomo che andava a lavorare ogni giorno e tornava a casa dedicando tempo amorevole alla sua famiglia». «Il nome di copertura utilizzato dal boss Totò Riina era Giuseppe Bellomo che di professione faceva il geometra», ha aggiunto.

Secondo quanto da lui stesso riportato nel libro, «ha sentito il bisogno di scrivere il testo non per contestare le varie condanne dei giudici ma per descrivere dall’interno la sua famiglia». Rispetto alla versione raccontata a Porta a Porta e poi nel libro, vi è un’altra versione che collude e stride con quanto raccontato, quella riportata negli archivi del palazzo di giustizia di Palermo. Qui, in cima ad uno scaffale si trova Riina + 23, un titolo meno accattivante di quello dato dalle edizioni Anordest ma che contiene «le parole autentiche del giovane Riina, quelle parole che pronunciò dal 2000 al 2002 quando non sospettava di essere intercettato (a casa e in auto) dalla squadra mobile su ordine del pm Maurizio de Lucia e parlava in libertà mentre organizzava la sua cosca».
«Io vengo dalla scuola di Corleone. Oh, mio padre di Corleone, mia madre di Corleone, che scuola posso avere. Di uomini che hanno fatto la storia della Sicilia… linea dura, ne pagano le conseguenze, però sono stati uomini, alla fin fine. E io… sulla mia pelle brucia ancora di più». Nel migliaio di pagine di intercettazioni riportate si leggono parole dure: «C’era quel cornuto, Di Cristina, che era malantrinu e spiuni … era uno della Cupola, un pezzo storico alleato di quelli, i Badalamenti, minchia, Totuccio si fumò a tutti, li scannò». Era l’inizio della guerra di mafia scatenata dai corleonesi, l’inizio di quella che viene definita una carneficina, descritta così da Salvo Riina: «E chi doveva vincere? In Sicilia, in tutta l’Italia chi sono quelli che hanno vinto sempre? I corleonesi. E allora, chi doveva vincere?».