Divisi su tutto, tranne sulla minaccia di querele sul dossier Usa in merito ai partiti finanziati dalla Russia. Fratelli d’Italia e Lega hanno annunciato che di fronte a qualsiasi accostamento a un sostegno economico di Mosca, risponderanno per vie legali. Un momento di concordia, almeno, in una serie sempre più ampia di spaccature affiorate in questa campagna elettorale.
Scostamento di bilancio o no?
Giorgia Meloni e Matteo Salvini, a poco più di una settimana dal voto, si muovono sempre più da separati in casa, a cominciare dal dossier-energia. Il numero uno leghista continua a chiedere uno «scostamento di bilancio» per un intervento del governo Draghi da 30 miliardi di euro per dare risposte a famiglie imprese. Un decreto che non arriverà in questi termini: Palazzo Chigi impiegherà le risorse reperite, che si aggirano tra i 12 e i 13 miliardi di euro, poi la palla passerà ai successori. E paradossalmente la linea dell’esecutivo trova d’accordo Meloni, che teoricamente sarebbe all’opposizione a differenza di Salvini: lo scostamento di bilancio è solo una «extrema ratio», secondo la presidente di Fdi, che già aveva manifestato grande cautela nei giorni scorsi. Così il segretario della Lega prima dice di andare d’accordo con la sua alleata, ma poi afferma: «Mi stupiscono questi rinvii nello stanziare dei soldi per aiutare gli italiani a pagare le bollette». La spaccatura si è fatta ancora più evidente nelle ultime ore. Intervistata a TgLa7, Giorgia Meloni si è detta sorpresa di alcune dichiarazioni di Salvini «sempre più polemico con me che con gli avversari».

Meloni e la battaglia per il presidenzialismo
Che il feeling si sia rotto è chiaro anche prendendo in esame altri argomenti. La revisione della Costituzione è una priorità per Meloni, che si batte per l’introduzione del presidenzialismo: «La madre di tutte le riforme», ha detto in più circostanze, tanto da aver avviato una raccolta firme. I commenti di Salvini vanno in una direzione opposta: «Se entri in un negozio non chiedono le riforme istituzionali per il 2024», oppure «se parlo agli allevatori di Bicamerale mi inseguono con i bastoni». Insomma, in cima all’agenda c’è tutt’altro: il presidenzialismo può attendere.
Flat tax, sì ma quale?
Addirittura sulla flat tax, cavallo di battaglia di tutti i partiti del centrodestra, ci sono visioni discordanti. La Lega vuole una tassa al 15 per cento per tutti, individuando gradualmente le fasce di reddito interessate. Si tratta della versione tradizionale della tassazione piatta, mentre Fratelli d’Italia parla di flat tax incrementale, ossia l’applicazione dell’aliquota del 15 per cento «su tutto ciò che si dichiara in eccedenza rispetto al pregresso», ha spiegato Maurizio Leo, responsabile economico del partito di Meloni. Uno stimolo a incentivare la produttività, è il ragionamento, comunque dissonante rispetto alla richiesta leghista.

Immigrazione, Meloni frena le ambizioni di Salvini
Limature si dirà, ma che marcano una distanza finanche su una proposta comune, come peraltro avvenuto sull’immigrazione. Il pallino di Salvini è quello di tornare al Viminale, perché – in una frase autocelebrativa – «le cose che funzionano vanno confermate». L’obiettivo è quello di ripristinare i decreti Sicurezza, vessillo leghista del primo governo Conte. La presidente di FdI preferisce glissare sulla distribuzione degli incarichi ministeriali, invocando addirittura «il blocco navale». Senza concedere citazioni ai provvedimenti agognati dall’alleato sulla sicurezza.
Sanzioni alla Russia, la Lega frena
E se il dossier sui finanziamenti russi unisce i due partiti nella minaccia di querele, la guerra del Cremlino aumenta le divisioni. Salvini ha sdoganato il tema della revisione delle sanzioni. L’iniziale reticenza a parlare della questione si è trasformata in evidente ostilità alle misure assunte dall’Unione europea contro la Russia. «Abbiamo preso una strada sbagliata e ci stiamo facendo del male da soli», ha detto Salvini al Forum Ambrosetti. Vero, non ne ha chiesto formalmente il ritiro, ma quasi. Un affondo attuato proprio al fianco dell’alleata, che però ha confermato la rotta: «Se l’Italia si sfila dai suoi alleati, per Kyiv non cambia niente. Ma per noi sì». Il punto non riguarda solo le sanzioni, ma pure il sostegno militare fornito all’esercito ucraino. Già dall’opposizione, Fratelli d’Italia aveva votato a favore dell’invio di armi a Kyiv, punto su cui Salvini è sempre stato scettico, arrivando a invocare le parole di Papa Francesco, definendolo la «luce da seguire».

Il pressing di Lombardia e Veneto per l’autonomia differenziata
Ma il vero nodo, che da sempre segna la distanza tra i due partiti, è quello dell’autonomia differenziata. La Lega vuole accelerare, assecondando il pressing dei presidenti di Regioni del Nord, su tutti il veneto Luca Zaia e il lombardo Attilio Fontana. Già nelle scorse settimane, Meloni attraverso i luogotenenti, in primis il capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida, ha invitato a evitare «fughe in avanti». Anche perché tira aria di un derby tra presidenzialismo e federalismo tra i due partiti. Lontani sui principali dossier e uniti solo dalla volontà di tornare al governo.