Salvini non è putiniano, sta diventando come Putin

Lia Celi
29/09/2022

Più che putiniano, Salvini sta diventando una replica in sedicesimo di Putin. Entrambi non ne azzeccano una e sembrano inamovibili. L’unica vera differenza è che le nostre elezioni non sono ancora come i referendum nel Donbass. Un leghista su due, non potendo cambiare il partito, ha cambiato partito, e ha votato Meloni.

Salvini non è putiniano, sta diventando come Putin

Avrà detto «non voglio Salvini, è filorusso» o «non lo voglio, è amico di Putin»? Mentre resta avvolta nel mistero la verità intorno al clamoroso virgolettato attribuito a Giorgia Meloni e schiaffato in prima pagina sulla Stampa, abbiamo una notizia per la premier in pectore: che abbia detto una cosa o l’altra in riferimento a una possibile presenza di Matteo Salvini nel suo governo, le cose stanno ancora peggio.

La putinizzazione di Salvini

A giudicare da come si sta comportando dai primi exit poll del 25 settembre, il leader della Lega non è né filorusso né amico di Putin. Sta diventando Putin. Si va putinizzando, ora dopo ora. Come se la famosa maglietta col faccione di Putin, a contatto con la pancia sudata del Capitano, avesse rilasciato a poco a poco l’essenza invisibile dell’autocrate russo, facendogliela penetrare attraverso la pelle fin nelle maniglie dell’amore, e di qui nel sangue. Salvini non ancora è diventato calvo e non si mostra seduto a tavoli lunghi come lo stadio di San Siro, ma le sue azioni sono sempre più una replica in sedicesimo dell’atteggiamento del capo del Cremlino rispetto alla guerra in Ucraina: continua a perdere, colleziona uno smacco dopo l’altro, eppure non molla e non rinuncia ai toni trionfalistici. Il suo partito incassa una clamorosa débâcle elettorale nei territori che credeva suoi, quasi dimezza i voti a livello nazionale. E Matteo fa un passo indietro? Macché, tenta di farne due in avanti: non solo reclama un ministero di peso nell’esecutivo a guida Meloni – ovvero, con un risultato del 9,8 per cento vorrebbe riprendersi il Viminale, la stessa poltrona conquistata nel 2018 con un 18 per cento: uno sconto che neanche al fuoritutto di Poltrone&Sofà – ma tenta già di dettarne l’agenda.

Matteo Salvini (Getty Images).

Il Capitano come lo zar è quasi impossibile da rimuovere

Questa versione da circo delle pulci delle follie di Mosca ci permette, peraltro, di rispondere alla domanda che da mesi ci poniamo tutti: cosa aspetta lo stato maggiore di Putin a sbarazzarsi di un capo che sta commettendo un errore di calcolo dietro l’altro e procura gravi danni al suo Paese? Perché nessuno tenta di rovesciarlo e di prendere il suo posto, prima che sia troppo tardi? Per capirlo basta guardare quel che sta succedendo nel vertice della Lega, che ripropone in miniatura le stesse dinamiche, profumate di cassoeula anziché di bortsch. All’ombra di Salvini non è cresciuto nessuno in grado di contendergli la leadership, non dico con una congiura dei boiardi, ma nemmeno sfidandolo a chi mangia più panini col salame. Chi ci ha provato (a mettere in discussione la leadership, non a mangiare più panini col salame, impresa impossibile) è stato punito con isolamento e purghe periodiche in puro stile sovietico. I superstiti, a cominciare dai 95 eletti che approderanno in Parlamento, sono nient’altro che propaggini più o meno efficienti del Putin di via Bellerio e senza di lui hanno lo stesso carisma di un bastone da selfie senza il suo cellulare. Quanto alla colonna veneta della Lega, è come il ramo Aosta per casa Savoia, figure in genere più brave, più credibili, più misurate, senza guai con la giustizia o quasi, che in tanti hanno sognato di vedere un giorno sul trono, ma che non ci arrivano mai a causa di una fatale tara ereditaria: sono un po’ mona. E così il dopo-Salvini si chiama Salvini, in attesa di un congresso che al 99 per cento incoronerà Salvini. L’unica vera differenza fra la Russia di Putin e la Lega è che le elezioni italiane non sono ancora come i referendum nel Donbass. Un elettore leghista su due, non potendo cambiare il partito, ha cambiato partito, e domenica scorsa ha votato Meloni. Tanto al culto della personalità ci sono già abituati.