C’è una guerra strisciante dentro la Lega di Matteo Salvini che potrebbe avere ricadute sulla vera battaglia che si sta iniziando a consumare nei palazzi della politica romana: quella per il sostituto di Sergio Mattarella al Quirinale nel 2022. Come capita ormai da anni il partito fondato da Umberto Bossi vive al suo interno contraddizioni sulla linea da tenere in Italia e all’estero. Un tempo a darsele di santa ragione erano Bossi e Maroni. Poi ci sono stati i casi dell’ex governatore lombardo contro Salvini e quindi del Senatùr contro il Capitano Matteo. Ora invece la guerra è tra il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e lo stesso Salvini. A leggere i giornali sembra che il primo non commetta mai errori, mentre il secondo arranchi nei sondaggi, in difficoltà sulle alleanze da tenere a Bruxelles e sulla gestione del partito.
Giorgetti più vicino a Draghi che al suo segretario
La realtà è ben diversa. La Lega tiene. Resta il primo partito, «nonostante Giorgetti», suggerisce qualcuno. Tanto che tra i salviniani di ferro da qualche tempo circola una battuta. «Da quando Giorgetti ha paragonato Mario Draghi a Cristiano Ronaldo il presidente del Consiglio non ne ha imbroccata più una». Eravamo ai primi di febbraio e a distanza di 2 mesi il premier ha avuto le sue gatte da pelare. Solo adesso, a fine aprile, le vaccinazioni iniziano a correre al ritmo di quasi 500 mila al giorno. Mentre nel centrodestra sta già iniziando a montare una certa preoccupazione per il Pnrr (Piano Nazionale di resistenza e resilienza) perché potrebbe rispuntare l’Imu sulla prima casa, una misura che l’elettorato salviniano difficilmente potrebbe digerire. Del resto Salvini cerca di tenere la Lega alta nei sondaggi, nonostante le giravolte sull’Europa e i processi che continuano a circondare la sede di via Bellerio. La Lega di lotta e di governo non è difficile da conciliare. Giorgetti, che negli anni d’oro di Bossi di sicuro non faceva la guerra alla badante Rosi Mauro o alla moglie del Capo Manuela Marrone, sembra in questi mesi più vicino a Draghi rispetto che al suo segretario di partito.

Sul coprifuoco Salvini ha vinto
Del resto, in tutti i retroscena sui giornali, soprattutto su Repubblica e Corriere, il ministro passa come un tecnico che sta cercando di fare da pontiere tra Salvini e Draghi. Mentre il segretario appare come un disperato a caccia di voti. Eppure basterebbe prendere come esempio il caso della battaglia sul coprifuoco alle 22 per capire che in questo caso è stato il segretario leghista ad avere ragione. Nelle scorse settimane, infatti, rispetto all’ennesimo provvedimento che prolungava il divieto di uscire di casa la sera, Salvini ha deciso di alzare la voce. La reazione del mondo politico è stata concorde nell’attaccarlo. E lo stesso Giorgetti avrebbe dissentito della linea del segretario. Peccato che nei giorni successivi la calendarizzazione della revisione del coprifuoco sia entrata a piedi uniti a Palazzo Chigi.
L’asse tra i due Mattei
A portarla è stato Matteo Renzi, leader di Italia viva, l’ideatore del governo Draghi e uno dei più forti alleati di Salvini in queste settimane. Ma le spaccature tra Giorgetti e Salvini non finiscono qui. Si discute anche sulla Regione Lombardia di Attilio Fontana, come sulle prossime elezioni comunali di Milano. Il centrodestra continua a non trovare un nome su cui convergere. Non si riesce a trovare un profilo capace di affrontare l’attuale sindaco Giuseppe Sala. Salvini ha incontrato nelle scorse settimane Gabriele Albertini, ma l’ex primo cittadino non ha ancora sciolto la riserva. Le elezioni saranno a settembre. C’è fretta di chiudere. Il cuore della battaglia è però sui voti che serviranno per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica nel febbraio del 2022.
Divisi anche nella partita del Quirinale
Tutti sono concordi sul fatto che il governo non cadrà mai, anche perché in agosto scatterà il semestre bianco e per il Quirinale non sarà più possibile sciogliere le Camere. Una buona fetta di maggioranza spera che a salire al Colle sia proprio Draghi, in modo da poter gestire con tutta tranquillità i soldi del Recovery plan, i 220 miliardi in arrivo dall’Europa. Ne sarebbe felice anche l’amico Giorgetti. Ma proprio qui potrebbe far mancare il suo apporto Salvini che con il suo plotone di parlamentari, più vicini a lui rispetto al ministro, potrebbe entrare in partita con lo stesso Renzi e scompaginare le carte.