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O Capitano, oddio Capitano

Ha incassato il no degli alleati polacchi al progetto europeo dei sovranisti. Ha accettato senza fiatare il super Green pass voluto dal governo. Ed è costantemente oscurato da Giorgia Meloni. Perché per Salvini questo è un momento nero.

1 Dicembre 2021 18:001 Dicembre 2021 18:09 Stefano Iannaccone
perché salvini è in crisi

L’ultimo segnale per Matteo Salvini era arrivato dai sondaggi. La Lega, nonostante una lieve risalita segnalata dal rilevamento Swg per La7, è staccata di poco più di mezzo punto da Fratelli d’Italia, principale competitor. Il partito di Giorgia Meloni è al 19,4 per cento (-0,4), mentre il Carroccio al 18,8 (+0,4). Dai sogni di pieni poteri al terzo posto nelle intenzioni di voto con un distacco che è ormai consolidato nei confronti dell’alleato. E ai numeri poco incoraggianti si aggiunge un’altra batosta politica. Il vertice di Varsavia, in programma il 4 dicembre, che avrebbe dovuto sancire la nascita di un nuovo gruppo unico della Destra europea sarà invece con tutta probabilità disertato da Salvini, che pure sognava una foto ricordo per ottenere uno standing internazionale, seppure nell’alveo del sovranismo continentale.

Il progetto congelato del super gruppo di destra e la vittoria di Meloni

Il progetto è fallito. Il raggruppamento prevedeva il coinvolgimento del Rassemblement National di Marine Le Pen, di Fidesz di Viktor Orbán e dei polacchi del Pis di Kacsynski e Morawiecki. Ma proprio questi ultimi hanno rifilato il benservito ai possibili compagni di viaggio: resteranno nel gruppo dei Conservatori, con Fratelli d’Italia. Una vittoria per Meloni, da sempre contraria all’operazione. «La Lega continua a impegnarsi per un centrodestra vincente e alternativo alla sinistra in Italia e in Europa: è necessario che i tempi maturino e che vengano superati egoismi e paure (sia partitici che nazionali)», ha scritto il partito in una nota. «Appena ci saranno le condizioni, Matteo Salvini farà un tour in alcune capitali europee». Il Carroccio deve ora leccarsi le ferite mentre crescono i malumori appena sopiti dell’area governativa, che fa riferimento al ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti. Per la quale l’approdo naturale sarebbe il Partito popolare europeo, concludendo il percorso di “normalizzazione” auspicato da un’ampia fetta del partito. Del resto in sede internazionale, l’inabissamento del leader della Lega era stato già previsto e sottolineato. In un recente articolo The Economist ha incoronato Meloni come leader del centrodestra, indicandola come possibile prima presidente del Consiglio donna. La sua strategia è stata elogiata, soprattutto per la capacità di stare all’opposizione. Non proprio un endorsement, ma qualcosa di simile. E già a maggio il Financial Times aveva parlato della numero uno di Fdi come astro nascente della politica italiana. Mettendo, di fatto, in panchina Salvini.

perché salvini è sempre più in crisi
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Getty Images).

Il sì al super Green Pass e l’asse dei governatori del Nord

E che il Capitano abbia perso la tolda di comando emerge anche all’interno dei confini nazionali. Sul super Green pass, ha dovuto innestare la retromarcia. Sull’entrata in vigore il prossimo 6 dicembre, il leader non ha battuto ciglio, limitandosi a dire che sui controlli da effettuare sui mezzi pubblici di trasporto «le Forze dell’ordine rischiano di diventare obiettivo attacchi persone». Una bandierina piazzata più per distrarre che per polemizzare. Con buona pace delle idee barricadere di Claudio Borghi, interprete del (primo) pensiero salviniano. Non sfugge che i presidenti di Regione, dal lombardo Attilio Fontana al veneto Luca Zaia siano stati i primi veri alleati leghisti del presidente del Consiglio, Mario Draghi. Per non parlare di Massimiliano Fedriga, presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia e per qualcuno possibile futuro leader della Lega, grande sponsor delle restrizioni per i non vaccinati.

Quirinale, il dietrofront su Draghi 

Salvini ha dovuto ammainare l’ultima bandiera, quella che avrebbe voluto sventolare per tenere compatto il partito. Nella riforma fiscale non c’è nemmeno traccia della flat tax. Le intenzioni dell’esecutivo sono tutt’altre. Altra questione è infine quella che conduce al Colle. Le ambizioni quirinalizie di Silvio Berlusconi mettono ancora una volta all’angolo Salvini, costretto a giocare in difesa, visto che Meloni si è già espressa a favore dell’elezione di Draghi pur di tornare alle urne nella prossima primavera. Il numero uno leghista pare aver fatto un passo indietro. Il 29 novembre in una conferenza stampa a Montecitorio ha detto: «Per quanto riguarda Draghi, condivido le parole del presidente Berlusconi, sta lavorando bene da presidente del Consiglio e quindi mi auguro che vada avanti a lungo a lavorare da presidente del Consiglio». Salvini insomma tentenna, indebolito ancora una volta da Giorgetti che vorrebbe SuperMario Capo dello Stato in una Repubblica presidenziale de facto. Una “mozione” di sfiducia al sogno di Salvini. Quello di diventare premier.

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