Dal 17 aprile Milano apre le porte alla design week, cioè Salone del mobile e annesso Fuorisalone, e si appresta a vivere il suo momento di gloria, diventando la vetrina mondiale di se stessa, con eventi e happening sparsi dal centro alle periferie. «Come il Carnevale per Rio», dicono al Corriere Paolo Casati e Christian Confalonieri, ideatori di fuorisalone.it e Brera Design District. Orientarsi per le strade della città non sarà facile e oltre all’immancabile appuntamento fino a tarda notte al mitico Bar Basso di Maurizio Stocchetto e la solita birra al Mom di Viale Montenero, altre due strade saranno sicuramente ultra frequentate dalla movida. Una è appunto via Brera, dove ancora resiste impavido il Jamaica e l’altra sarà sicuramente via Sottocorno, vero e proprio feudo della famiglia Bulleri che negli anni l’ha completamente colonizzata, aprendo uno dopo l’altro sette punti vendita sotto il marchio Giacomo.

Il Jamaica, da bar di artisti e scrittori bohémien a locale della Milano bene
La storia ultracentenaria del Bar Jamaica (100 anni tondi nel 2011) in città è nota a chiunque. Il locale, che Luciano Bianciardi ne La vita agra chiamava Bar Antille, è lo stesso che nel 1911 portava il nome Fiaschetteria de Mec. Leggenda narra che i fascisti scambiando Mec per una parola straniera distrussero l’insegna, anche se in realtà la parola era l’abbreviazione di michetta. Il nome Giamaica (con la lettera g che poi negli anni si trasformò in j), lo si deve a un’intuizione del critico del Corriere della Sera Giulio Confalonieri, stimato musicologo che della piastrellata fiaschetteria era un habitué. Una sera, mentre era impegnato in una partita di scopone scientifico, guardò fuori dai vetri della porta e in contrasto con la scighera (la nebbia) che inzuppava via Brera evocò, parlando di sole, spiagge caraibiche e bottiglie di rum, la lontana Giamaica. Da allora il locale di via Brera 32 ha ospitato le avventure disperate e felici di pittori, scultori, aspiranti fotografi, letterati, sbandati, delinquenti, ai quali si è aggiunto negli ultimi decenni un nutrito manipolo di giovani della cosiddetta Milano bene che hanno preso l’abitudine di trascorrere lì le loro serate, tra un cocktail e l’altro. Dietro al banco del bar c’è sempre lei, la famosa Carlina Cetrella, per tutti semplicemente Carlina, nipote del fondatore Carlo Mainini, unica e inimitabile.

Via Sottocorno, oasi risparmiata dalla gentrificazione e feudo della famiglia Bulleri
Altrettanto interessante è la storia della famiglia Bulleri, discendente diretta del celebre Giacomo, imprenditore morto nel 2019 a oltre 90 anni e Ambrogino d’oro. Cinque locali in via Sottocorno, zona Risorgimento, e due in Duomo, il Caffè di Palazzo Reale e il ristorante Arengario, con terrazza vista Madunina, all’interno del Museo del 900. Un modello atipico ma vincente. Citato nel 2017 addirittura dal New York Times, che aveva definito il capostipite «l’uomo che cucinava per l’Italia», la storia di Bulleri è da manuale. Classe 1925, si trasferì giovanissimo da Pistoia, sua città natale, a Torino dove iniziò a lavorare come lavapiatti imparando i fondamentali del mestiere. Poi una volta a Milano nel 1958 aprì in via Donizetti il suo primo ristorante dove negli anni passarono tutti: Maria Callas, Henry Kissinger, Indro Montanelli, i Moratti, Gianni Versace. Negli Anni 90 approdò, per rimanerci definitivamente, in via Sottocorno. Qui aprì Da Giacomo, il primo dei sette locali spuntati successivamente tra Milano e Pietrasanta. Oggi a proseguire la tradizione di famiglia c’è la terza generazione Bulleri. Il ristorante, il bistrot, la pasticceria, la rosticceria e la tabaccheria sono diventati simbolo di una piccola via piena zeppa di locali a due passi da Piazza Cinque Giornate. Una specie di oasi lontana dalle zone gentrificate come Isola o NoLo.

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